Vieni e vedi cosa? Si è chiesta e ci ha chiesto Licia Lineri, che con Mario Mazzi, Silvia Brenna e Gimmi Garbuijo, coppie da oltre 30 anni unite da una forte esperienza di fede e di vita, ha portato la sua esperienza nella parrocchia di San Domenico Savio venerdì 25 novembre.
Vieni e vedi cosa? E la risposta che ci hanno dato è stata: ‘Persone misere, ma amate’. Persone, coppie come tutte le altre, con la diversità di genere e di carattere, con le difficoltà della vita e della educazione dei figli, ma anche, come tutti; come ha sottolineato Gimmi, desiderose di felicità, di letizia.
Elementi comuni della loro esperienza, caratterizzata dalla accoglienza di ragazzi e di adulti in difficoltà, nella loro casa, alla loro tavola, chi per un giorno, chi per anni, è il sentirsi abbracciati , che li rende capaci di abbracciare, amati e quindi capaci di amare, dentro una storia fatta di relazioni che va oltre i loro disegni ed i loro calcoli e che nelle difficoltà talvolta li travolge, ma sempre li interroga come singoli , come coppia, come famiglia nel rapporto con i figli.
Tutto nasce dal caso, direbbe chi non crede in uno sguardo più grande sugli uomini. Chi invece ha occhi di speranza si sente dentro un disegno di amore nel quale è chiamato a vivere, dare, rispondere, incontrare. Qualcuno che chiede di ospitare qualcun altro per qualche giorno può essere l’inizio di una storia inattesa che cambia la propria vita e quella della propria famiglia. Occhi che si incrociano e sentono che è più semplice aprire la porta che chiuderla sono l’occasione di un cambiamento. Richieste inattese, e quindi un rosario di incontri e di esperienze, graffi che diventano abbracci. Alicia ci ha detto: ‘ Vedevamo gente lieta e volevamo esserlo anche noi’. Non un atto eroico, non un disegno organizzativo, ma apertura a quanto ci è posto davanti nella vita come opportunità di senso e di bene. Silvia: 4 figli, due nipoti, da 10 anni in casa famiglia con 7 ragazzi. Chi lo avrebbe mai pensato? ‘Lo ha pensato qualcun altro, qualcuno che pensa cose per te, non per un gruppo’. Persone ospitate che chiedendoti se vuoi loro bene ti riportano alle domande che guidano la vita. Apertura, ma anche amicizia che educa con lo sguardo, accompagna. Ed il dono è vivere intensamente, felici di essere come si è e non come si dovrebbe essere, rinunciando alla pretesa di cogliere i frutti, vincendo lo sconforto con il semplice ricordo di un abbraccio o di un fiore riconosciuto per la sua bellezza da chi di bello non aveva mai visto e vissuto nulla. Conversione continua delle attese e delle relazioni, sacramenti come occasione per ripartire dalla relazione di amore gratuito che rende possibile osare umanamente la gratuità. Vieni e vedi, coppie felici, persone sposate da 32 e 36 anni che sorridono alla vita ed invece che barricarsi in casa per paura dei ladri aprono le porte e ricevono dono inattesi.
In fondo, ci dicono che chiudendo a chiave la porta di casa e degli affetti non ci resterebbe che la paura, rischiando invece l’accoglienza, mai da soli, riconoscendo l’un l’altro ed assieme quanto abbiamo ricevuto e donandolo, c’è la possibilità, come loro testimoniano, di moltiplicare il bene e restituire in gesti e sguardi, in ascolto e condivisione quello che ci è stato dato gratuitamente e che le persone accolte, anche di cultura e colore diverso, anche bambini nel non senso dell’abbandono sanno farci comprendere. Allora la semplicità di un piatto in più in tavola si fa evento ed un grazie ci cambia la vita, un silenzio ci interroga nella profondità del nostro animo.
Giuseppe Aleo, che ha introdotto l’incontro per il Gruppo Famiglie Don Bosco, aveva interrogato invitati e pubblico a riflettere sulla cultura del dono e sulla difficoltà in questi tempi di riconoscere gratuità ed apertura all’altro. Le coppie che hanno portato la loro esperienza ci hanno fatto vedere uno spicchio di mondo ed un modo di essere nella vita e nella coppia che incoraggia alla speranza ed al sorriso. Ci hanno detto che troppi si lamentano di tutto, non sanno vedere il bene ed il bello che ci circonda e che possiamo far percepire. In fondo il cammino di questi amici ha preso avvio dalla domanda di felicità. E’ la domanda di tutti, e la ricetta ha ingredienti comuni a tutti i percorsi efficaci: apertura, porsi di fronte alla realtà senza pensare che dovrebbe essere diversa per essere vissuta, carità, cioè azione non finalizzata ad una ricompensa, perché questa è già stata ampliamente offerta e si chiama vita.
Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)