O tempora o mores! Che tempi che modo di vivere! La frase di Cicerone sembra scritta per il tempo attuale dove ci sembra che il peggio si manifesti. Eppure non è così. Senza andare all’epoca delle persecuzioni per il proprio credo dei primi secoli che si sintetizza nei cristiani sbranati dai leoni, basta fermarsi per una sera, come fatto da Don Andrea Trevisan, ad approfondire la realtà di Verona fra gli ultimi anni del ‘700 e gli inizi dell’800 per scoprire forse l’epoca più difficile per la città ed i suoi abitanti e la Chiesa che li raccoglie. Quasi un ventennio di guerre, occupazione militare francese, iniziata il primo giugno 1796 con l’ingresso delle truppe napoleoniche. E poi, occupazione austriaca ed ancora francese, arresti e fucilazioni, emergenza sanitaria e migliaia di prigionieri e feriti in una città che non poteva avere strutture adeguate per accoglienza e cura. Insieme alle guerre giunge un cambiamento radicale nella politica con uno scontro aperto fra religiosi e giacobini, combattuto non solo e non tanto a mezzo stampa, ma con la spogliazione delle proprietà ecclesiastiche, sequestro delle chiese per utilizzi civili, messa sotto accusa dello stesso vescovo Avogadro, salvatosi dalla esecuzione per un solo voto.
Eppure proprio in questo ventennio la Chiesa veronese conosce una esperienza straordinaria di santità, anche se non sempre coronata, almeno fino ad oggi, con l’aureola ufficiale per tutti i protagonisti della fede. Che sia vero che la risposta della fede si manifesta proprio nel bisogno?
Il racconto di Don Andrea parte dall’inquadramento storico e politico: Napoleone che attraversa la pianura padana, e prima ancora con la descrizione delle condizioni sociali e sanitarie di Verona. C’è un giovane prete, Pietro Leonardi, figlio di un farmacista, che contrariato dal padre che lo vorrebbe cartaio, tipografo, dopo un provvidenziale incontro nella Messa in Arena con il Papa, decide di seguire la vocazione religiosa. Molto sensibile alla assistenza ai malati frequenta l’ospedale cittadino, nell’area dove oggi insiste il municipio in piazza Bra. Chiamarlo ospedale però ci confonde le idee: non ci sono reparti specialistici e ammalati classificati per patologia, ma ambienti che accolgono chiunque sia solo e sofferente.
Nello squallore di uno Spitale, dove decine di persone di età diversa, di condizioni diversa, non solo malati ma anche semplicemente soli e nel disagio, assiste spiritualmente e materialmente diremmo oggi come volontario, gratuitamente. L’infermità allora come sempre è prova della vita e della fede. E per la salvezza delle anime delle persone abbandonate alla sofferenza riunisce altri presbiteri e chierici nella ‘Sacra Fratellanza dei preti spedalieri’. Questi si alternano giorno e notte nell’ospedale e nelle strutture di ricovero più piccole dove vengono portati gli ammalati. Fra di loro don Carlo Steeb, tedesco di Tubinga, protestante convertitosi al cattolicesimo e provvidenzialmente di lingua madre tedesca: diventerà fondamentale per assistere i prigionieri ed i feriti asburgici delle battaglie che si susseguono nel veronese e nel mantovano di quei tempi.
Da Don Leonardi e da Don Steeb nascono due congregazioni religiose, ancora attive in città e nel mondo, e con loro altri fondatori ed altri, tanti santi, beati, venerabili, servi di Dio come loro e come Maddalena di Canossa, volontaria, dama nelle corsie femminili; Gaspare Bertoni; Provolo che come quarto iniziatore porta in Italia la possibilità di comunicare per i sordomuti; Teodora Campostrini ed ancora, Daniele Comboni che intuisce come l’Africa può salvarsi solo con gli africani; Nicola Mazza; Giuseppe Baldo; Zefirino Agostini; Giuseppe Nascimbeni; Elena da Persico e Giovanni Calabria. Santi sociali della Verona provata da guerre e sofferenze, fondatori che come ha concluso Don Andrea sono stati testimoni di una umanità cambiata e per questo credibili, attraenti allora come oggi. E rimandandoci all’approfondimento di altre biografie questo è stato il messaggio nella sintesi finale della serata: una umanità cambiata interessa a tutti ed interroga tutti noi per la possibilità di divenirlo. Uomini che vanno oltre il proprio confine in nome di una felicità più grande e di una fratellanza vissuta che i cristiani chiamano santità. Arrivederci al prossimo incontro. Vieni e vedi quanto è accaduto e quanto ci riguarda.
Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)