Daniela Brunelli e Gelmino Tosi (in centro nella foto), marito e moglie, tre figli, anni di esperienze in Africa, iniziate in un ospedale in Tanzania trent’anni fa e ritornati un anno fa in Sud Sudan. Hanno parlato della loro vita vissuta per quasi un anno in Sud Sudan come volontari CUAMM, medici e non solo che danno tempo ed energia per stare assieme ad altri e ad altre. Se chiediamo ad un anziano dove si trova il Sudan difficilmente avremo una risposta: ‘In Africa’ Sud Sudan? Sotto il Sudan ma chissà..’ Se lo chiediamo ad un ragazzo avremo una scena muta: non c’è posto sul web per un giovane paese africano che ha fame di pace prima ancora che di cibo e di strutture. Eppure è uno stato indipendente, recente, a prevalenza cristiana, ma diviso ed in guerra fra Etnie.
Lo stato ha parcellizzato il territorio in 24 regioni sempre più piccole e la sanità pubblica è di fatto appaltata alle organizzazioni internazionali che creano le strutture assistenziali ed assumono il personale.
7 ore su 7, 24 ore su 24, persone, italiani, tanti italiani come Daniela e Gelmino, sono con altre persone per curare, assistere, educare, come a Lui, una città sul confine e sulla linea del fronte fra Nuer e Dinka, perché nella povertà quello che non mancano mai sono la violenza e le armi. Capitale: Juba. Corso del Nilo bianco. Pozzi di petrolio.
Sul fronte della sofferenza e del bisogno evidente due veronesi, chiusi in casa per il timore degli attacchi, mentre decine di donne con i bambini raccoglievano rapidamente in fagotti quanto necessario per vivere e per fuggire.
Un ospedale a Lui ed una scuola per ostetriche, perché in Sud Sudan nascono i bambini, nella guerra, ed un progetto per far uscire i bambini di casa e dalla paura.
Una marcia contro l’HIV (vedi foto), far valere i propri capelli bianchi per far sentire le ragioni della giustizia, curare, è una storia piccola e lontana che arricchisce, che non vediamo in televisione, ma che conosciamo una sera di ottobre in un incontro in parrocchia, mentre nelle case si sceglie fra un reality ed un varietà che non arricchisce nessuno.
Medicine portate con la scorta di un autoblindo, stipendi scortati con trasporti a sorpresa, pianificazione trimestrale dei bisogni sanitari perché anche avere quanto necessario può essere impedito dalla guerra.
Ed un Papa, Francesco, che bacia i piedi al presidente di una etnia, ed al vicepresidente, suo rivale, per parlare con i gesti e chiedere pace incoraggiando quanti danno ed hanno dato tempo per una zona in ombra sulla terra, per bambini ed adulti che non fanno notizia.
Daniela e Gelmino, due come noi ma una donna ed un uomo con occhi più grandi dei nostri e voci che giungono alle nostre orecchie con entusiasmo per il senso trovato lontano da Verona. C’era una cappella a Lui, senza un prete, un vescovo fuggito per le minacce. C’era e c’è il Signore, nella guerra e nella povertà, ma anche nel sorriso delle giovani che caricano l’acqua o nel gioco dei ragazzi che calciano un pallone giunto dall’Europa e sorridono nonostante tutto.
E ci sono persone che ballano in tondo per ore all’annuncio di una tregua, e ci sono i nostri volti europei che un po’ considerano quanto ascoltato come echi di una storia che ci riporta a Daniele Comboni, un po’ si sentono provocati nella nostra piccola visione della realtà, un po’ si sentono felici per le belle persone che partono e testimoniano di scuola per i ragazzi, di matematica insegnata con i bastoncini, di cure per le donne, di una fede che vive fra i poveri con una teologia pratica fatta di gesti e di coraggio. E viene voglia di provare ad uscire dal cerchio dei pregiudizi e delle certezze per provare a stare assieme ai bisogni del mondo per cercare di avere, almeno per provarci, gli occhi luminosi di chi ha visto sofferenza ma ha toccato anche la gioia semplice di chi spera.
Fabio Cortesi
Vice presidente del Consiglio pastorale