Questa pagina è il regalo che la parrocchia S. Domenico Savio dedica al suo parroco don Gaetano nel giorno del suo 50° anniversario di sacerdozio. Auguri vivissimi.
Don Gaetano, giovedì scorso ha concelebrato con Papa Francesco a S. Marta.

don Gaetano e Papa Francesco
Per l’occasione, don Gaetano ha scritto una riflessione che con piacere pubblichiamo:
“Ho visto un uomo che stava sempre alla presenza del Signore, per questo era una Presenza! Da come diceva la Messa si vedeva che era uno pienamente consegnato: un tutt’uno con Cristo, con una umiltà e povertà impressionante. Quanta strada devo fare per dire la messa così come il Papa la dice: mi trovo ancora superficiale. Quando ci siamo salutati personalmente gli ho espresso la mia gratitudine per la grazia di questa udienza nei 50 anni di sacerdozio. Poi gli ho chiesto: come fai Lei santità ad essere così libero e felice? Lui mi ha detto: è semplice! Basta avere SEMPRE CRISTO DAVANTI AGLI OCCHI! Poi gli ho detto che con tutta la parrocchia di san Domenico Savio e gli amici di Comunione e Liberazione preghiamo ogni giorno per Lui, Lui mi ha ringraziato. Ho visto un uomo tutto teso ad affermare te non se stesso come don Giussani e Carròn. Un uomo veramente decentrato. Come mi ha guardato e fissato, non lo dimenticherò mai. Davvero il bello di Cristo è nel presente.”
don Gaetano

don Gaetano e Papa Francesco
Intervista a don Gaetano Tortella, nostro parroco,
in occasione del suo 50° Anniversario di sacerdozio,
(Festa del Corpus Domini 2015).

50° don Gaetano
D. 1 – A quale età ha ricevuto la chiamata al sacerdozio e come?
R. 1 – A 11 anni. Mentre servivo la Messa era caduto un velo dall’altare ed io, come mi sembrava giusto, mi sono apprestato a raccoglierlo. Il prete però mi fermò dicendomi che non potevo. Finita la Messa chiesi al prete il perché di quel divieto; e lui pazientemente mi disse: “Per prendere in mano quel velo che è sacro bisogna essere preti”. Poi mi guardò negli occhi e mi chiese: ”Ma tu, non vorresti diventare prete?” Non mi ero mai posto una simile domanda, non ci avevo mai pensato ma, gli ho detto subito di sì. Quel “Sì” è stato l’inizio, sono andato a casa e ho comunicato a i miei genitori l’intenzione di andare in seminario. Loro sono rimasti molto sorpresi, anche perché avevano altri progetti su di me, avrebbero voluto infatti che diventassi ingegnere. Così ho presentato i documenti necessari per l’iscrizione al seminario tutto da solo, e con l’aiuto del parroco.

D. 2 – Nel periodo giovanile, quello che va dalla decisione di diventare sacerdote all’ordinazione, come è riuscito a dominare il forte istinto umano che emerge nei giovani a quell’età; come fa un ragazzo di 16/17 anni a dire “amo te Gesù, più di quella ragazza che mi sta accanto”?
R. 2 – L’attrattiva di Cristo è così potente, così umana, che ti rende umano fino in fondo, in tutti i sensi: corpo, spirito, anima, e carne. Questo succede perché vedo Gesù nello sguardo di chi mi sta intorno, anche attraverso quello di una ragazza. Il Signore infatti si svela e si manifesta attraverso tutto ciò che accade, cioè quello sguardo è uno sguardo che mi riporta all’origine. All’origine dell’esistenza l’uomo è vergine perché non si è dato lui la vita, ma l’ha ricevuta così come la vocazione, per cui la verginità è la posizione ideale dell’uomo per comprendere se stesso e gli altri. Essa è una cosa voluta da Dio. Se Il Signore sceglie qualcuno e desidera che questo qualcuno rimanga vergine significa che la verginità è un dono dato alla persona perchè sia un bene per tutti. Per cui la bellezza, l’attrazione, il desiderio sono tutte cose fatte per uno scopo ultimo, non momentaneo, né riduttivo, né parziale. La verginità dunque riempie fino in fondo e permette a tutti di vedere la profondità di un rapporto. E’ proprio questo che mi ha permesso di avere moltissimi amici in quel periodo di vita. Ho perfino fatto l’esperienza di stare con una ragazza, ma la massima disponibilità volta agli altri faceva si che quel rapporto ristretto con una singola persona mi chiudeva in una tomba. Il rapporto di pienezza di vita che mi dava e mi dà sempre di più Cristo ora, passa dentro tutto. Anzi, dona a tutti di risplendere nella loro vita di quello sguardo di totalità che sa valorizzare al massimo tutta l’ esistenza, perfino la sessualità: una cosa grandiosa!

D. 3 – Al momento dell’ordinazione sacerdotale ha avuto un attimo di paura nel pensare che dal quel momento in poi sarebbe rimasto “solo” per tutta la vita?
R. 3 – No. Non mi è mai venuto in mente perché ero così preso che desideravo fortemente che il Signore mi prendesse totalmente. La vigilia dell’ordinazione ho vegliato tutta la notte e l’ho passata pensando proprio a quello che mi stava accadendo. Diventavo Sacerdos alter Christus “persona di Gesù” sebbene sproporzionato e incapace, ma voluto da Gesù, che bello! Diventare “persona di Cristo”, una cosa dell’altro mondo! E’ come quando ti innamori di una persona e non pensi ad altro che a lei e non pensi più a te; non pensi di farcela o non farcela pensi solo a lei. Così mi sentivo io, desideravo solo Gesù e nient’altro.

D. 4 – Negli anni dopo l’ordinazione ci sono stati momenti di incertezza, dubbi, perplessità, insomma tentazione di mollare?
R. 4 – No, la tentazione di mollare non mi è mai capitata. Ci sono stati invece momenti di sconforto quando, a un certo punto, mi sono accorto che pregavo per abitudine. Pregare non mi dava più niente e non sentivo più niente. Questi momenti di aridità della vita sono capitati due volte, quaranta anni fa e venticinque anni fa. Mi sono confidato con un mio amico laico, il quale mi disse: “Guarda che il Signore sapeva che tu arrivavi a questo punto – allora perché l’ha permesso, dissi io? – perché ti accorgessi che anche nei momenti di aridità Lui c’è, Lui è li per te”. Lì ho capito che la più bella preghiera che ho fatto l’avevo fatta nel momento in cui non sentivo niente, affidandomi ad un altro, donandomi completamente ad un altro. Un altro momento è stato quando sono cadute tutte le responsabilità che avevo in quel momento. Non ero più responsabile del Movimento Comunione e Liberazione di Verona; non ero più responsabile regionale degli studenti, non insegnavo più a scuola. Non avevo nessun appiglio, mi sono chiesto perfino se fossi diventato un monaco. Insomma, un momento drammatico e doloroso.

D. 5 – Come è riuscito a superare questi momenti di sconforto?
R. 5 – Il rapporto totalizzante con Cristo, sempre drammatico perchè libero, mi chiedeva che fosse Lui il dominatore della mia vita non più io e così essere attaccato solo a Lui. Questa è la cosa più liberante che ci sia (non sono più io che vivo ma un’Altro vive in me: dove vado Signore? Tu solo hai parole di vita eterna). Te ne accorgi quando ti vengono tolte le cose a cui tieni ma che terminano: Non hai più la scuola, non hai più le responsabilità, non puoi nemmeno contare sui tuoi amici perché ti rimproverano, non puoi insomma fare affidamento su niente (come Giobbe, gli suggerisco). Proprio così, nella vita capita. In quel momento ti accorgi che perdi tutto quello che ti viene dato provvisoriamente e ti restano solo le cose durature, quelle che non passano mai, in quel momento ti chiedi solo cosa vuole il Signore da te. Per questo ho detto subito di sì quando il Vescovo mi ha chiesto di diventare il pastore questa parrocchia. In quel “Sì” entra il Signore, è Lui che prende l’iniziativa, e la vita in Lui diventa rinnovata. Non conta più se sono capace o non capace, se ne ho voglia o no per l’età avanzata per fare il parroco; è Lui che lo vuole ed io ho detto sì, che bello! Poi, quando mi ha posto a fianco don Andrea, un delizioso compagno di viaggio, un amico, ho sperimentato che essere bisognoso e la più bella libertà che ci sia.

D. 6 – Ubbidire ai superiori le è mai costato tanto da renderla almeno un po’ triste o infelice?
R. 6 – Si, e riguarda Madjugorje. Ero a Desenzano, anzi no, ero a Verona ed era successo che avevano imprigionato il prete che per primo aveva sostenuto i ragazzi veggenti di quel Paese. Noi, nelle scuole, avevamo fatto ad una raccolta di firme per sostenere il dissenso alla reclusione di quel nostro fratello prete e così volevamo fare anche nelle parrocchie. Il Vescovo dell’epoca, S.E. Mons. Amari, lo proibì. Allora io presi il telefono e lo chiamai dicendogli che non mi sembrava giusta la scelta fatta. C’erano molti cristiani perseguitati e addirittura un prete in galera e noi non potevamo aiutarlo con le nostre firme. Ma lui ribadì il divieto. Allora gli chiesi: “Se capitasse a me, se fossi io quello minacciato o, punito a causa della fede a scuola mia, significa che non potrei contare sull’aiuto del mio Vescovo, il mio padre spirituale non sarebbe con me?” “Proprio così”, mi rispose. Questa fu per me una grande umiliazione, uno schiaffo morale, un po’ come Gesù quando disse “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”, però ho obbedito lo stesso. Il giorno dopo scrissi una lettera per gli altri preti spiegando che la decisione del Vescovo andava rispettata. Una grande soddisfazione tuttavia la ricevetti quando Amari non era più Vescovo; mi scrisse una lettera in cui mi spiegava che in cuor suo stavo facendo bene., ed aveva una stima profonda di me e del movimento.

D. 7 – Il suo rapporto con Gesù è sempre stato un rapporto amichevole o qualche volta ci sono state grida, urla, rabbia?

R. 7 – Che Gli abbia urlato, mai. Ma la gradazione di un’amicizia c’è stata. C’è stata quando da amicizia sentimentale sono passato ad un amicizia formale. Quante volte mi sono ritrovato a dire le preghiere, il breviario o i salmi in maniera formale! Quante volte ho recitato il rosario in maniera formale! Quante volte ho guardato e trattato le persone perché bisognava farlo, perché era mio dovere farlo, perché ero un prete! Quante volte sono stato tentato di scappare invece di stare dentro le cose! Ma vedo sempre le due cose: da una parte noto la Sua preferenza, la Sua fedeltà che continuamente mi sorprende e mi turba; dall’altra parte vedo la mia insufficienza, la mia sproporzione. E’ proprio questa mia sproporzione che io non riesco a colmare e che Lui colma che mi dà la forza ogni giorno, anche dopo 50 anni. Vedere come Lui supera la mia misura è bello! Così nel tempo la fedeltà alla forma con cui Cristo mi chiama la fa si che il rapporto con Cristo nel tempo da formale diventi sempre più famigliare.

D. 8 – Durante la S. Messa quando alza l’Eucarestia per mostrarla ai fedeli spesso Le sorride; l’ha sempre fatto o lo fa senza accorgersene?

R. 8 – E’ maturata nel tempo. Nel tempo in cui è cresciuta la consapevolezza di quando dico “questo è il mio corpo” non si dice “questo è il corpo di Gesù, ma il mio corpo” questa cosa mi sconvolge. Questa cosa mi riempie di una letizia, di una gratitudine immensa. Vedere come io, che non sono nulla, sono scelto per essere una cosa unica che salva il mondo. Mai mi sono sentito preferito come in quel momento. Non mi sforzo, il sorriso all’Eucarestia mi viene naturale.

D. 9 – Ha mai avuto parrocchiani che le hanno fatto dire “basta, ora mollo tutto”?
R. 9 – No… No.

D. 10 – Il 50° anniversario di sacerdozio è una grande gioia perché: in un cammino difficoltoso si ha la consapevolezza di esservi riusciti o, perché si gode nel donare ogni giorno la propria vita per il Signore?
R. 10 – Io sono grato; infinitamente grato, non per esserci riuscito né per aver donato la vita, ma perché scelto. Questa scelta è durata per tutti questi 50 anni in modo più sorprendente, in modo sempre più gratuito. Quante volte mi sono chiesto “proprio me”? “Perché proprio io”? “Chi sono io per meritare così tanto amore infinito che non mi ha mai lasciato nemmeno un attimo”? Sono stato preferito dentro le mie debolezze e mi è stato fedele anche dentro le mie infedeltà. Questa gioia c’è non per quello che ho fatto, ma per la Sua fedeltà infinita, per la Sua gratuità continua. Questo mi riempie di stupore e allo stesso tempo mi fa sentire umile. Di mio c’è solo un “Sì”, il resto è opera Sua. Se dovessi dire una parola su questi 50 anni direi che la cosa più bella e più grande è la Sua Misericordia. Misericordia sempre presente che mi ha risollevato, che mi ha abbracciato, mi ha portato avanti, mi ha ripreso. Misericordia che è passata attraverso gli amici, l’incontro con don Giussani e l’esperienza con il movimento di C.L. Misericordia che si è manifestata attraverso gli amici che mi hanno incoraggiato, sgridato e, a volte, anche ingiuriato per un bene grande; affinché io mi convertissi. Questa è la cosa cui tengo di più, tanto è vero che desidero essere “mendicante della Sua Misericordia infinita”. Mendicare è molto di più di chiedere, perché la vita senza la Misericordia è nulla, ma con la Sua Misericordia si diventa qualcuno che è prima di me, qualcuno che mi aspetta dentro le cose che faccio. La Misericordia è una gratitudine continua.

D. 11 – Se potesse ritornare al giorno della sua ordinazione, cosa non rifarebbe?
R. 11 – Rifarei tutto quello che ho fatto. Non rinnego niente della mia vita nemmeno i miei peccati perché è anche attraverso questi che il Signore mi ha tratto di più a Se e mi ha usato Misericordia grandissima. La vita che ho fatto la rifarei.

D. 12 – Ha mai pensato: “Se non avessi fatto il sacerdote, cosa avrei fatto nella mia vita”?
R. 12 – No, non l’ho mai pensato. Avendo cominciato a 11 anni a seguire la strada e questa mi corrisponde, non ho mai pensato a qualcosa di più bello. Non c’è nulla di più bello. Anche nei momenti più difficili non ho mai messo in discussione questa cosa, anzi le difficoltà aiutano l’approfondimento. Che poi mi senta sempre sproporzionato e inadeguato alla mia chiamata anche questo è vero, ma questo non è un motivo per dire “c’è un’altra cosa più bella”. Tante volte mi sono sentito come Pietro, ma dove vado? cosa c’è di più bello?

D. 13 – Ha una parrocchia nel suo cuore a cui tiene più di un’altra?
R. 13 – Senza voler offendere nessuno, ma la parrocchia dove ho lasciato il cuore è quella di Grezzana. Li ho incontrato Gesù nella carne attraverso degli amici che dopo oltre quarant’anni sono ancora più amici. Niente ci ha separato perché Grezzana per me ha voluto dire incontrare nella carne Gesù, incontrare Gesù nella mia umanità. Li ho incontrato il carisma di Comunione e Liberazione, lì ho incontrato don Giussani che mi ha salvato la vita. A Grezzana ho incontrato gente con la quale abbiamo camminato insieme ed abbiamo cambiato il volto nostro e il volto del paese. La parrocchia di Monzambano precedente a Grezzana è stata la parrocchia della “fanciullezza”. Si viveva bene, si vivevano tanti rapporti, ma mancava il metodo. Mancava una strada reale di arrivo. Tutto quello che è nato in quella parrocchia non è poi andato avanti. Sono andati avanti solo alcuni rapporti legati al coro. Mentre i rapporti nati a Grezzana vivono e crescono tutt’ora. Prima di Grezzana Gesù era un bel discorso da applicare, una bella teologia da mettere in pratica, alle volte con grande moralismo per cercare di essere perfetto, di essere bravo, anche un po’ superbo. Invece a Grezzana è stata tutta un’altra cosa.

D. 14 – Si sente accolto in questa parrocchia?
R. 14 – La comunione cristiana è uno degli aspetti dell’incontro con don Giussani. Vedere che Cristo entra così nella vita e la rende comunione con le persone che ci sono. Mi è rimasto in mente quando le abbiamo chiesto una stanza per un nostro incontro e ci ha detto: “questa è casa nostra, casa vostra, casa di tutti”. Io sono solo un servitore di passaggio e questa casa è realmente nostra, vostra in particolare. La vita umana è comunione. La vita cristiana è comunione ancora più profonda perché la fa il Signore che entra nell’essere di tutti. Ci lega gli uni agli altri, veri e liberi e quindi bisognosi. Prima ero molto più preoccupato su cosa dire, come rispondere, come fare per colpire. Da don Giussani ho capito come riconoscere il Signore che viene a trovarti attraverso una persona o un’altra. Quando siete venute a chiedere la stanza per l’incontro, per me era vedere Gesù all’opera e quindi era naturale aprire il cuore a queste persone della parrocchia.

D. 15 – Due parole su questa parrocchia?
R. 15 – Io sono contento di questa parrocchia innanzitutto perché è il modo con cui il Signore mi abbraccia e mi converte: Il Signore mi ha dato voi come “tratti inconfondibili della Sua Presenza”. Sono anche contento nel vedere che diverse persone rispondono e danno credito a quello che hanno visto. Sono contento pure nel vedere che il Signore ci sta facendo camminare e in questo anno e mezzo si sono fatti numerosi passi avanti, non tanto su cose che sono una conseguenza del nostro arrivo, ma nel vedere un cuore cambiato, una passione, un entusiasmo. Vedere gente che ha sempre più voglia. Io non so questo dove porti, so solo che è opera del Signore e sono grato. Se è opera del Signore sempre porta a una crescita migliore di quella che io penso, di quella che immagino. Vedi, qui sto imparando una cosa bella: a non fare tanti progetti, a non fare tanti programmi, ma a vedere quello che il Signore opera. Questo libera dall’ansia e dal voler vedere i risultati a tutti i costi, ma soprattutto libera me stesso perché mette al centro Cristo nel volto delle persone, nel volto dei miei parrocchiani. In 50 anni (l’ho detto già alcune volte), ma ora lo dico ancora di più: “questa parrocchia è la mia casa”. Per questo ho voluto fare la Festa proprio durante la sagra perché questa parrocchia sia più dentro la mia vita. Poi quando ho visto il bellissimo e sorprendente regalo dell’Icona della “Madonna della tenerezza” di Vladimir, mi sono commosso perchè avete colpito il mio cuore: Io sono innamorato di Maria perchè è la strada sicura di Gesù…e quella Icona me la fa vedere in modo particolare.






