Archivio articoli – Verona

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PRIMA COMUNIONE 2018

Ecco la foto dei bambini che quest’anno hanno ricevuto il Sacramento dell’Eucarestia.

Un ringraziamento va anche ai catechisti che hanno portato con tanta passione questi ragazzi a conoscere Gesù vivo.


CRESIMA 2018

Ecco la foto dei ragazzi  che quest’anno hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione imposto loro dal Vescovo Mons. Giuseppe Zenti.

Un ringraziamento va anche ai catechisti che hanno portato con tanta passione questi ragazzi a conoscere lo Spirito Santo e in suoi doni.


Camminiamo insieme

I gruppi Betlemme, Nazareth, Cenacolo e Tiberiade in festa, contenti per il cammino fatto insieme in quest’anno pastorale e con gioia continueremo a camminare insieme.


Camminiamo insieme…per una fraternità consapevole

a sinistra don Stefano Lavelli, in centro Nicola Robotti, a destra don Gaetano Tortella

Camminiamo insieme….per una fraternità consapevole

Il titolo dell’incontro di venerdì 2 febbraio nel teatro parrocchiale forse ha spaventato qualcuno. Molti potevano pensare ad una serata fra il filosofico ed il teologico, dissertazioni sul dover essere fratelli ed altre cose già sentite e che non valeva la pena riascoltare in una fredda sera di inizio febbraio, magari meglio la tv.  Invece abbiamo ascoltato poca filosofia, teologia pratica, vita di ogni giorno di un prete della Fraternità missionaria San Carlo, don Stefano Lavelli e di un seminarista, Nicola Robotti.  Effetti speciali, miracoli, zero.

Invece abbiamo sentito orari di sveglia quando altri dormono; tempo per la preghiera e per il silenzio, perché se non c’è un tempo ed un luogo per la relazione con sé e con il Signore lentamente rimaniamo soli; tempo per guardare negli occhi gli altri, a tavola ma anche in ginocchio, per dirsi il vissuto e meravigliarsi di quanto accade senza progetti o fuori da ogni proprio disegno, ma sempre sorprendente.

Nicola Robotti e don Gaetano Tortella

Stefano, prete da cinque anni  e Nicola, che a 40 anni da senso alla ubbidienza come regola per imparare a dare la propria vita,  hanno in comune l’età,  la vocazione adulta, i pochi capelli e la scelta di “essere di Gesù”, di “andare dove sei mandato”, la voglia di ‘vedere ciò che il Signore fà, magari incontrando persone sconosciute prima o  stare in luoghi mai pensati o sognati, come un anno a Nairobi, o fra i cinesi di  Roma, o in una parrocchia del centro di Torino che diventa cerchio che si allarga per accogliere chi in una grande città italiana, ragazzo o adulto, potrebbe non aver mai sentito parlare di Gesù o potrebbe stupirsi di una pastorale fatta anche di inviti a cena nella casa dei preti. E ancora fare fraternità, aprendo le porte a mamme e bambini che cercano uno spazio per giocare o facendo catechismo con il teatro perché i ragazzi cercano vita e felicità agita invece di lezioni, gareggiando, come scrive San Paolo, nello stimarsi a vicenda, riconoscendo il bene che dall’altro fluisce. Un piacentino trapiantato a Torino ed un alessandrino che studia a Roma, ci hanno testimoniato che vivere assieme è possibile, prendendosi cura prima di tutto di noi stessi per salvare le nostre anime e quindi prendersi cura delle persone che il Signore ci mette accanto. Nessuno di noi ha scelto il proprio prossimo e comprendere che le nostre relazioni sono dono, che quanto siamo ed abbiamo viene da un altro diventa liberante e naturalmente ci porta alla gratitudine.

I missionari ci hanno detto che la prima missione è con sé stessi, fuori dalla illusione di poter pianificare gli incontri o la propria storia, ma leggendola come offerta gratuita. E poi è possibile la missione verso i propri fratelli, ovunque, “ricentrando lo sguardo su ciò che accade”, magari in una casa senza tv o con tempo da liberare.

O siamo matti, ci hanno detto, a vedere la vita con questi occhi, quelli della fede in Gesù risorto e vivente, e non è vero niente, o davvero esiste Dio Trinità, relazione che dà senso a tutte le relazioni, ma, pensandoci, noi non siamo matti, perché vogliamo aprire e non chiudere gli occhi, abbracciare e non allontanarci da noi stessi e dagli altri, incontrare il datore di ogni dono e non pensare, da veri folli, di essere padroni del nostro tempo o dei fili della storia. Semmai siamo gente che cammina insieme e che ha bisogno di fraternità, di stare insieme, perché mangiare da soli, pregare da soli, parlare da soli, pensare da soli, non è la stessa cosa di farlo con altri amici, fratelli, magari ogni giorno, magari quando vogliamo davvero essere felici.  Comunione e fraternità, ci hanno spiegato con il loro vissuto, hanno bisogno di tempi, di regole, di riti, di un vuoto dentro di noi che rende possibile l’incontro e che trasforma la correzione come sguardo che si alza.

Fabio Cortesi

 


Camminiamo insieme

I numerosi volti della carità

Almeno una cosa hanno compreso le  settanta persone che venerdì 1 dicembre 2017 invece che starsene al caldo sul divano a fare zapping hanno preferito partecipare ad un incontro su uno strano tema:

Il mendicante protagonista della storia’.

E cioè che sono le singole gocce che formano l’oceano, gocce di acqua limpida, di sorgente, a dare il senso e la speranza di una rinascita. Gocce nel mare, piccole ma essenziali, come l’amore gratuito donato e raccontato dalla Sorella Tiziana, della Fraternità Francescana di  Betania, giovane suora friulana che prega il Signore e lo riconosce nel volto di poveri affamati di relazione prima ancora che di cibo, che incontra ogni giorno alla mensa di Barana. Suor Tiziana dopo aver studiato medicina ha sentito che era più importante offrire la guarigione della fede alle persone più che quella della salute e ha scommesso su questo tutto,  la sua vita.

E poi, la testimonianza di  Alda Vanoni, 74 anni di energia e di storia,  giudice del Tribunale dei minori  che si è aperta il cuore nell’affido e nella adozione, fino a costituire la associazione delle Famiglie per l’accoglienza. In gioventù  studentessa del Berchet di Milano conosce uno strano prete che ancora chiama Don Gius (don Giussani), è lui l’incontro da cui muove la sua storia giunta poi a presiedere la AVSI, una Onlus che opera in 30 paesi del mondo, goccia nel mare della povertà, ma anche goccia sana di speranza.

Invece che di numero di pasti e di quantità di indumenti giornalmente erogati ai poveri, stranieri ed Italiani, ed invece che parlarci del numero delle scuole attive nel mondo o del budget finanziario che in ogni caso necessita per fare no profit, le due testimoni sono state unite nel parlare di sé come strumento di un Altro: da sole infatti non avrebbero fatto nulla e nessuna delle due aveva progettato il proprio destino per come si è compiuto.  Entrambe devono la loro gioia di vivere, il loro senso, a degli incontri, non fuori dal normale, ma dentro la loro vita, così, nell’istante di uno sguardo che considerato ad anni di distanza risulta dar  valore a tutto il percorso. Ed oltre l’incontro, il sentirsi dentro una storia più grande, una chiamata sussurrata da una persona con nome e cognome, vivente, Gesù Cristo, che le incontra entrambe studenti col volto di testimoni riconosciuti dalla vita e non dai titoli onorifici, e le fa ritrovare, una sera, in una sala parrocchiale di Verona per dirsi e dirci che siamo tutti mendicanti di Cristo, ma prima ancora è lui che mendica la relazione con noi, nella nostra libertà, per farci trovare molto di più di quello che pensiamo.

Qaraqosh, città siriana distrutta dalla furia dell’Isis che ora torna a vivere con un asilo ricostruito per accogliere cristiani fuggiti ad Erbil. Ospedali cristiani che in Siria si aprono per curare gratuitamente chiunque abbia bisogno di aiuto,  nella comune umanità dove la sofferenza non ha appartenenze religiose. Una mensa dove ogni giorno 120 persone si trovano accolte senza giudizi validando la propria vocazione all’amore gratuito per il quale si può diventare tramite, sono realtà che per una sera si sono date appuntamento per dirci che nel riconoscerci gocce nell’oceano sta la nostra grandezza di mendicanti, che spendono quanto hanno ricevuto e possono quindi essere tramite di un dono più grande, della ricchezza infinita di un Altro che dona la speranza all’oceano di essere vivo e fecondo.

E i poveri, in tutto questo?  I poveri sono il volto del nostro Signore. Le sue mani supplicanti, le loro ferite sono le sue ferite ed a noi può essere data la possibilità di guarirne. A noi può essere data la possibilità di essere, in forza di una relazione con la divinità fattasi carne, fattasi bambino, pienamente umani, fratelli,  felici come gli occhi di chi ha testimoniato, come quelli che vorremmo avere.


Camminare insieme…. con una Santa,

Maddalena di Canossa

“Obbedienza alla realtà”, così ha sintetizzato la vita di fede di Maddalena di Canossa  Don Andrea Trevisan, nel secondo incontro dedicato ai Santi Veronesi fra ‘700 ed ‘800 a Verona. Obbedienza alla realtà è stata la sua, che dopo aver percorso tante strade ed aver ascoltato tanti consigli sul suo discernimento vocazionale segue le indicazioni del Vescovo Avogadro che la chiama alla educazione ed alla emancipazione sociale delle tante ragazze travolte dalla miseria e dalla condizione creatasi con le occupazioni militari francesi ed austriache, tutto il contrario di quanto aveva immaginato. Obbedienza alla realtà, la nostra, chiamati ad essere nel luogo e nel tempo in cui viviamo per incontrare le occasioni che danno senso alla nostra esistenza, scoprendo che più che i progetti ed i disegni razionali il filo della nostra vita scorre fra incontri ed occasioni inattese, del piccolo che si fa grande e di un senso che ci precede.

Nata a Verona nel 1774, e qui vissuta, Maddalena, nobile per antiche origini che rimandano alla sua ava Matilde, di sette secoli precedente, è persona travagliata che vive il trauma della morte del padre e dell’abbandono della madre in giovanissima età; dell’obbligo morale di accudire gli anziani zii nel palazzo che ancor oggi sorge in Corso Cavour; di ricerca religiosa che per anni le fa vivere l’esperienza carmelitana, salvo poi essere chiamata ai doveri della casa famigliare. Maddalena si sente chiamata al servizio ai malati ed agli anziani. Offre il suo servizio volontario nell’ospedale della Misericordia con Don Leonardi e don Steeb, ma poi per un inatteso richiamo del vescovo si dedica anima e corpo alla formazione delle maestre per il recupero di tante ragazze sviate sulla strada, senza scuola, educazione, dignità.  E compie tutte queste azioni dialogando con esperienze sviluppate a Milano e all’estero, con una fitta corrispondenza e con costanti contatti con sacerdoti, ora Santi, e con altre donne che come lei sono animate dalla passione per la carità, una su tutte Leopoldina Naudet che con lei farà diventare l’ex convento delle Agostiniane nell’allora popoloso e poverissimo quartiere di San Zeno, nella chiesa ancor oggi dedicata a San Giuseppe e San Fidenzio, la sede per ospitare, insegnare, educare, pregare.  E per fare questo, con la costante presenza di un altro santo sacerdote veronese, Gaspare Bertoni,  cerca sostegno nelle famiglie facoltose, si muove nel nord Italia chiamata ad aprire in altre città case per le giovani.  Secondo insegnamento per tutti noi: “il luogo della fede è una compagnia, una rete di relazioni”.

Verona fra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 è una città travagliata, dove gli eserciti scorrazzano liberamente nel territorio, si combattono lasciando sul campo fame, povertà e migliaia di feriti scarsamente assistiti. Sul piano religioso, gli ordini religiosi vengono aboliti e spossessati delle proprietà. Molte chiese vengono abbandonate. La cura delle anime prestata precedentemente dalle congregazioni religiose viene a mancare. Solo  i sacerdoti e le religiose che operano in campo sociale, nella assistenza ai malati, nella educazione dei ragazzi,  vengono tollerati. Ed è in questo contesto che si sviluppa la santità veronese, che nasce e cresce l’opera di Maddalena di Canossa.  E’ questo un terzo richiamo anche alla nostra attualità: “non sono le condizioni difficili, sociali, politiche, economiche, che possono fermare la carità e la testimonianza della gratuità, anzi, proprio nelle condizioni di aridità possono nascere dei fiori che per la loro straordinarietà rimandano ad un Altro che ha reso fertile un terreno che sembrava sterile e che ha fatto piovere dove la fede si rendeva viva e operante.” Obbedienza alla realtà, per Maddalena di Canossa, significava obbedienza a Cristo crocifisso, riconosciuto nei malati e nelle ragazze abbandonate e senza speranza. Per noi, nella vigilia della festa di Ognissanti, la testimonianza di una vita realizzata irripetibile, ma con tratti che possono appartenerci, perché dentro la stessa storia, dentro la stessa città, dentro la stessa speranza.

F. Cortesi

 


Camminiamo insieme

Suor Marta Tommasi

13 ottobre 2017

 

Missione felicità.

Per capire le persone e la loro storia a volte basta guardarle bene negli occhi. Marta Tommasi, suora comboniana, 40 anni in Sudan, passando dal dialetto veronese all’inglese per poi approdare all’arabo fa capire di essere una persona felice proprio da questi, ma anche dalla velocità con cui sa muoversi fra le persone, con un microfono in mano mai stanca di raccontare storie vissute, di  rendere nota una fede provata.   Eppure c’è uno stridore fra come San Daniele Comboni presentava la vita religiosa alle sue suore: “carne da macello”; e come invece, una vocazione vissuta fino in fondo di una ragazza di 27 anni che, dopo tre fidanzamenti, comprende che la sua strada è diversa, che la gioia piena potrà essere solo in una scelta radicale. E per questo dopo aver sentito per anni fastidio per preti e suore,  sente che potrà essere felice scegliendo di sposare l’Africa, percependo di essere costantemente amata da un Amore più grande che non l’ha mai lasciata sola.

Non si capirebbero questi occhi che sprizzano giovinezza e voglia di dare e di vivere,  questa voce che corre a dirci che anche noi non siamo mai soli e che nella preghiera possiamo essere in relazione con chi può ascoltarci. Se non sapessimo dalla sua testimonianza che una vita dove le zanzare e la malaria sono endemiche, dove la temperatura oscilla giorno e notte fra i 35 ed i 45 gradi, dove mangiare due volte al giorno è per la maggioranza un lusso, si ripaga con una carezza richiesta da un giovane lebbroso il cui volto sfigurato ha preservato solo gli occhi e dove l’odore nauseabondo della putrefazione scompare nel riconoscimento di una comune umanità, di un comune bisogno d’affetto che in quel momento poteva dare solo il gesto di una suora venuta da uno stato grande otto volte meno del Sudan.

E poi ci ha portato il profumo di famiglie poverissime, ma serene.  Storie di ragazzi  che per studiare camminano ore. Genitori che rinunciano a tutto per la educazione e la speranza di un futuro per i figli. Abbiamo potuto conoscere anche la storia di William, ragazzo bruciato e che si cibava di quanto avanzavano le altre consorelle; di John un bambino di 3 anni che piangeva perché voleva studiare come i suoi  tre fratelli  e di tanti altri diventati ora medici e ingegneri; di persone amate senza distinzione di religione e di etnia.

“Chi non ama non vada in missione”, ha ripetuto più volte Marta alle persone che la ascoltavano,  ma sembrava quasi volerci dire “chi non ama non creda di essere felice”. E ce lo ha spiegato parlandoci della sua attualità, del suo ritorno in Italia per gravi problemi di salute e del suo dar senso alla missione nell’ascolto degli anziani soli; nella testimonianza di fede vissuta a tutti e soprattutto ai giovani; nella comprensione dei coniugi separati, negli occhi dei quali vede, soprattutto se avanti negli anni, la tristezza del rimpianto di una possibilità venuta meno.

Beati i piedi..” così inizia la preghiera che compose per il suo 50° di vita religiosa e che ha offerto a conclusione dell’incontro, e lo ha fatto proprio nel percorso pastorale che ha come filo conduttore “Camminiamo insieme”. Beati i piedi, ci hi testimoniato Marta, che sanno di non camminare mai da soli perché sempre hanno accanto uno e migliaia di altri uomini e donne che per essere felici non possiamo non ascoltare e aiutare; piedi che sanno di non camminare mai da soli, perché hanno a fianco quel Signore che non l’ha mai lasciato sola un istante; ecco il valore della preghiera!”.

“Lui è con me; è con voi, riconosciamolo!”.

Ecco la preghiera di suor Marta Tommasi:

Beati i piedi

Di chi trova il tempo di andare lungo le strade,

di entrare nelle case,

di avvicinare ogni uomo e donna

per un annuncio di speranza:

“Cristo è vivo e cammina con te”.

 

Beati i piedi

che si affrettano

all’invito di Gesù:

“andate, annunciate e testimoniate, servite”

Superando distanze,

con la forza di ripartire ogni giorno.

 

Beati i piedi

che senza tanti calcoli tracciano solchi profondi di gratuità,

perché poggiano sulla strada del Risorto.

 

Beati i piedi

che aprono strade ancora invisibili, che portano il mistero

di una Presenza che promessa mai compiuta

di una pace piena, di una speranza certa.

 

Amen, Alleuja!

 

 


INIZIO ANNO LITURGICO

24 settembre 2017

Tema dell’anno:

CAMMINIAMO INSIEME

Alcune foto della giornata:

SIAMO VENUTI E ABBIAMO VISTO

Il Signore nei volti di una comunità in cammino

Che bello! La parrocchia ha risposto gioiosamente alla serata “VIENI E VEDI” di ieri, 21 aprile. Venti hanno testimoniato ciò che hanno visto, ricevuto e restituito. Altri lo avrebbero fatto se alle 23,00 non si fosse pensato di chiudere la serata, data l’ora. Ciascuno ha parlato di sé e di come è avvenuto l’incontro che lo ha portato a buttarsi nel servizio, testimoniando o favorendo una esperienza ed un cambiamento. Si è vista la chiesa fatta negli anni dalle pietre vive messe insieme dal Signore. Si è vista la storia della parrocchia, dal racconto di coloro che iniziarono e dal senso di casa, accogliente e misericordiosa, che ancora oggi è per le nuove generazioni. Si è vista una continuità con gli inizi, una continuità fatta di persone non egoiste, ma capaci di passare il testimone ad altri, convinti che solo così la storia non finisca. Si è visto il Signore, presenza viva in ciascun parrocchiano impegnato: in cucina, nell’aiuto alle missioni; nell’accoglienza degli anziani così come quella dei più giovani con il catechismo, l’oratorio e il Grest; nello sport; nella carità; nella liturgia e nel canto. Mille sfumature insomma che ci mostrano la parrocchia quale espressione vera dell’amorevolezza di Dio.

 


Veglia vicariale dei martiri

 

Giovedì 23 marzo, nella nostra parrocchia si è tenuta la veglia vicariale dei martiri. La nostra chiesa è stata scelta dal vescovo come punto di riferimento per questo evento fra le parrocchie della zona Ovest di Verona. Nella veglia abbiamo ricordato alcuni martiri di cui riproponiamo la loro testimonianza. Fra i canti eseguiti durante la funzione, una i particolare ha destato condiviso compiacimento: Ojos de cielo, un canto in lingua spagnola dedicato alla Madonna.

Pensiamo possa farvi piacere, mentre leggete le testimonianze dei martiri e guardate qualche foto della funzione, ascoltare questo bellissimo canto e leggerne la traduzione in italiano.

 

Dal Vangelo secondo Luca       (Lc 6,22-23)

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Parola del Signore

TESTIMONIANZA n. 1

Un anziano sacerdote, Don Jacques Amel, 84 anni, è stato ucciso la mattina del 27 luglio 2016, mentre stava  celebrando la Messa nella  Chiesa di Saint Etienne Du Rouvray, in Normandia (Francia). Due uomini sono entrati durante la celebrazione, hanno ucciso il sacerdote e ferito tre fedeli, di cui uno in modo grave. Tra gli ostaggi anche due suore, mentre una terza è riuscita a fuggire e a dare l’allarme. I due assassini sono stati uccisi dalla polizia.

Padre Jacques era un uomo buono, di pace, ma “è stato assassinato come un criminale”, ha detto Papa Francesco il 14 settembre 2016, indicando un preciso motivo di riflessione: “in mezzo al momento difficile che viveva, in mezzo anche a questa tragedia, che lui vedeva venire, un uomo mite, un uomo buono, un uomo che faceva fratellanza, non ha perso la lucidità di accusare e dire chiaramente il nome dell’assassino, e ha detto chiaramente: “ vattene, Satana!”

Ha dato la vita per noi, ha dato la vita per non rinnegare Gesù. Ha dato la vita nello stesso sacrificio di Gesù sull’altare…

TESTIMONIANZA n. 2

Una banda di uomini armati all’assalto di una casa di riposo per vecchi e disabili condotta dalle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa. Ad Aden, nello Yemen, quattro di loro sono morte, assieme ad altre dodici persone, mentre un sacerdote salesiano risulta scomparso, forse rapito.

Il lupo e l’agnello: non deve essere stato certo difficile attaccare, armi in pugno, un rifugio di indifesi. La furia omicida si è scatenata proprio sulle quattro sorelle riconoscibili dal velo bianco e blu: loro l’obiettivo dell’odio, in quanto cristiane. Erano due ruandesi, una kenyota e una indiana.

Figlie dei Sud del mondo che, anziché fuggirne, avevano scelto di radicarsi nel luogo della massima povertà, casa per chi non ha alcuna casa. Sapevano quanto odio stava come sbucando dal sottosuolo, fra le strade dello Yemen. Non hanno pensato ad andarsene. Non sarebbero state capaci di abbandonare quei loro vecchi, quei fratelli malati, di chiudere l’ospizio lasciandoli dentro una guerra, e senza nessuno. Hanno continuato, probabilmente tra i bombardamenti e cento pericoli, a cercare di condurre la loro casa, dando da mangiare agli ospiti, curandoli, confortandoli. In una mite e tenace resistenza al male; in silenzio, con gesti quotidiani – imboccare, lavare, pregare – mentre fuori deflagrava la ferocia.

Madre Teresa diceva: «Il più grande dono che Dio ti può fare è darti la forza di accettare qualsiasi cosa Egli ti mandi, e la volontà di restituirgli qualsiasi cosa Egli ti chieda».

Docilmente hanno restituito a Dio la loro vita e forse, attorno, in quella città, qualcuno si fermerà un momento a considerare la strana scelta di quegli stranieri venuti lì a morire per curare creature che ‘non valgono’ niente. Perché? In cambio di cosa? In cambio di niente. Nella assoluta gratuità di Cristo.

(Marina Corradi, Avvenire, 5 marzo 2016)

TESTIMONIANZA n. 3

Un fatto eccezionale si è verificato il 2 dicembre 2016, Papa Francesco ha riconosciuto come martire, Padre Stanley Rother, appartenente all’arcidiocesi di Oklahoma City. Per questo sarà il primo martire nato negli Stati Uniti.
Giunse missionario in Guatemala nel 1968, come Parroco di Santiago Atitlan, Solola. Guidò’ dalla sua città natale in Guatemala a bordo della sua Chevrolet, imparò lo spagnolo e lo Tzutuhil, lingua locale. In quella terra cambiò’ nome in Padre Aplas, entrando in contatto con gli indigeni locali. La sua passione per Cristo lo portò a tradurre il Nuovo Testamento in Tzutuhil così da celebrare Messa in quella lingua perché potesse essere compresa da tutto il popolo. Fu ucciso in un conflitto armato nella canonica della sua parrocchia il 28 luglio 1981. Gli indiani per l’attaccamento a questo sacerdote, compagno per anni della loro vita, ottennero che il cuore del loro padre Stanley, rimanesse sepolto in quella terra. Nello stesso anno, furono uccisi in quella terre altri nove sacerdoti.

TESTIMONIANZA n. 4

A undici anni Edimar, che viveva in un sobborgo di Brasilia, diviene un menino de rua. All’inizio passa alcuni giorni senza rientrare a casa, poi ritorna per sparire di nuovo, fino al giorno in cui non torna più. Il padre alcolizzato, manifestava i suoi brutti istinti con moglie e figli. Il ragazzo comincia a vivere da solo, rubando per sopravvivere; inizia anche a trafficare droga e a farne uso. Gli scontri quotidiani con la polizia, cattiva fama a scuola, erano la vita di Edimar quando conobbe la sua insegnante di geografia, Gloria, nel 1992. L’insegnante propone agli studenti di frequentare la scuola anche di sabato per toglierli dalla strada e il giovane capisce che questa donna ha veramente a cuore la loro vita, e accetta la proposta. Continua parallelamente la sua vita come capo di una banda. Fino a quando viene invitato a fare un viaggio nello stato di Rio; la vacanza lo allontana e vive un’esperienza di felicità ed amicizia che non aveva mai provato prima. Seduto vicino a Rose, un’altra insegnante, sente una poesia che non conosceva, che iniziava così:

Dopo aver guardato a lungo il cielo in cerca di te, i miei occhi, da scuri che erano, sono diventati azzurri.

Il ragazzo chiede all’insegnante Semea: “Un giorno i miei occhi diventeranno azzurri?”

“Perché me lo chiedi? Se tu continuerai a stare in nostra compagnia, certamente”.

“Un giorno, voglio diventare prete” e così rimane in silenzio, vicino alla sua insegnante, a guardare il cielo notturno e la strada.

Il tema preferito dai ragazzi nei lori incontri, è il perdono. Chiedono quindi a Semea perché è così interessata alla loro vita, alle loro brutture e lei risponde con una semplice frase:

“Un giorno sono stata amata da qualcuno che non mi ha chiesto niente, al quale non importava come io ero, mi ha abbracciata così com’ero. Ora io devo fare lo stesso con il mio prossimo.”

La banda non accetta che Edimar voglia cambiare vita, e quindi gli chiede, come ultimo atto, di uccidere Regis il capobanda. Ma la risposta del ragazzo è pronta: “Non ammazzerò più nessuno”.  Il giovane viene colpito e muore il 31 luglio 1994.

Molti ragazzi della sua vecchia banda, dopo l’evento cruento cambiarono vita. I genitori di Edimar ripresero a vivere insieme.  Un umile ragazzo di strada, con la sua vita ricostruita con il Signore, è stato capace di miracoli per la conversione di molti altri giovani.


Vieni e Vedi

I santi veronesi dell’800

 

O tempora o mores! Che tempi che modo di vivere!  La frase di Cicerone sembra scritta per il tempo attuale dove ci sembra che il peggio si manifesti. Eppure non è così. Senza andare all’epoca delle persecuzioni per il proprio credo dei primi secoli che si sintetizza nei cristiani sbranati dai leoni, basta fermarsi per una sera, come fatto da Don Andrea Trevisan, ad approfondire la realtà di Verona fra gli ultimi anni del ‘700 e gli inizi dell’800 per scoprire forse l’epoca più difficile per la città ed i suoi abitanti e la Chiesa che li raccoglie.  Quasi un ventennio di guerre, occupazione militare francese, iniziata il primo giugno 1796 con l’ingresso delle truppe napoleoniche. E poi, occupazione austriaca ed ancora francese, arresti e fucilazioni, emergenza sanitaria e migliaia di prigionieri e feriti in una città che non poteva avere strutture adeguate per accoglienza e cura.  Insieme alle guerre giunge un cambiamento radicale nella politica con uno scontro aperto fra religiosi e giacobini, combattuto non solo e non tanto a mezzo stampa, ma con la spogliazione delle proprietà ecclesiastiche, sequestro delle chiese per utilizzi civili, messa sotto accusa dello stesso vescovo Avogadro, salvatosi dalla esecuzione per un solo voto.

Eppure proprio in questo ventennio la Chiesa veronese conosce una esperienza straordinaria di santità, anche se non sempre coronata, almeno fino ad oggi, con l’aureola ufficiale per tutti i protagonisti della fede.  Che sia vero che la risposta della fede si manifesta proprio nel bisogno?

Il racconto di Don Andrea parte dall’inquadramento storico e politico: Napoleone che attraversa la pianura padana, e prima ancora con la descrizione delle condizioni sociali e sanitarie di Verona. C’è un giovane prete, Pietro Leonardi, figlio di un farmacista, che contrariato dal padre che lo vorrebbe cartaio, tipografo, dopo un provvidenziale incontro nella Messa in Arena con il Papa, decide di seguire la vocazione religiosa. Molto sensibile alla assistenza ai malati frequenta l’ospedale cittadino, nell’area dove oggi insiste il municipio in piazza Bra. Chiamarlo ospedale però ci confonde le idee: non ci sono reparti specialistici e ammalati classificati per patologia, ma ambienti che accolgono chiunque sia solo e sofferente.

Nello squallore di uno Spitale, dove decine di persone di età diversa, di condizioni diversa, non solo malati ma anche semplicemente soli e nel disagio, assiste spiritualmente e materialmente diremmo oggi come volontario, gratuitamente. L’infermità allora come sempre è prova della vita e della fede. E per la salvezza delle anime delle persone abbandonate alla sofferenza riunisce altri presbiteri e chierici nella ‘Sacra Fratellanza dei preti spedalieri’. Questi si alternano giorno e notte nell’ospedale e nelle strutture di ricovero più piccole dove vengono portati gli ammalati. Fra di loro don Carlo Steeb, tedesco di Tubinga, protestante convertitosi al cattolicesimo e provvidenzialmente di lingua madre tedesca: diventerà fondamentale per assistere i prigionieri ed i feriti asburgici delle battaglie che si susseguono nel veronese e nel mantovano di quei tempi.

Da Don Leonardi e da Don Steeb nascono due congregazioni religiose, ancora attive in città e nel mondo, e con loro altri fondatori ed altri, tanti santi, beati, venerabili, servi di Dio come loro e come Maddalena di Canossa, volontaria, dama nelle corsie femminili;  Gaspare Bertoni; Provolo che come quarto iniziatore porta in Italia la possibilità di comunicare per i sordomuti; Teodora Campostrini ed ancora, Daniele Comboni che intuisce come l’Africa può salvarsi solo con gli africani; Nicola Mazza;  Giuseppe Baldo; Zefirino Agostini;  Giuseppe  Nascimbeni;  Elena da Persico e Giovanni Calabria. Santi sociali della Verona provata da guerre e sofferenze, fondatori che come ha concluso Don Andrea sono stati testimoni di una umanità cambiata e per questo credibili, attraenti allora come oggi. E rimandandoci all’approfondimento di altre biografie questo è stato il messaggio nella sintesi finale della serata: una umanità cambiata interessa a tutti ed interroga tutti noi per la possibilità di divenirlo. Uomini che vanno oltre il proprio confine in nome di una felicità più grande e di una fratellanza vissuta che i cristiani chiamano santità. Arrivederci al prossimo incontro. Vieni e vedi quanto è accaduto e quanto ci riguarda.

Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)


IL NUOVO AFFRESCO DELLA CHIESA

Per i primi trent’anni dalla sua consacrazione la chiesa parrocchiale, casa della comunità cristiana di San Domenico Savio in Verona, faceva incrociare lo sguardo dei fedeli su un muro di cemento, dove peraltro piogge insistenti vi facevano penetrare l’acqua fino al crocefisso.  Unico arredo: le vetrate colorate in alto e le bocche di aerazione per il riscaldamento che fanno bella posa ai lati. Nel bilancio della parrocchia, ancora gravato dagli impegni pluriennali derivanti anche dalla ristrutturazione della canonica e del centro giovanile, non poteva certo trovare posto il finanziamento di un’opera d’arte che valorizzasse la simbologia trinitaria dell’altare ed il sogno di don Bosco!

Ora invece gli affreschi di Noemi Poffe hanno modificato il presbiterio, portandoci ad alzare gli occhi per leggere la fede di San Domenico Savio che, in relazione con Maria, indica con il suo sguardo Gesù. Le mani misericordiose di Dio Padre si aprono sulla luce dello Spirito Santo e la luce si riflette sul mosaico che rimanda ai colori delle vetrate e dell’affresco e che arriva fino a raggiungere la croce. Lo sguardo ora si sofferma sui particolari alla ricerca delle simbologie, non più su un muro di cemento.

Ma il segno più grande è che il nuovo decoro della casa del Signore si è realizzato senza che la comunità parrocchiale fosse chiamata a contribuire con una colletta e, quindi, senza che nessuno possa dire che questi soldi non dovevano essere sottratti alla riduzione del debito e all’aiuto ai poveri (in ogni caso, il debito è in costante riduzione così come i contributi alle famiglie per mezzo del Centro di ascolto).

Il donatore intende rimanere anonimo e tale vogliamo lasciarlo, ma è possibile tracciarne un identikit.

Certamente si tratta di una persona che ama la bellezza e che trovava stridente che si annunciasse la gioia e la felicità possibile del messaggio evangelico con lo sguardo sul cemento o sulle perdite di acqua dal soffitto perfino durante le celebrazioni (per questo gli affreschi sono stati preceduti da un intervento risolutivo di impermeabilizzazione delle coperture).

Sicuramente si tratta di una persona che non vuole che si distragga l’attenzione ai poveri, ma nello stesso tempo è cosciente di come il decoro di una casa possa far sentire la famiglia maggiormente a proprio agio. Non Dio, ma gli uomini hanno bisogno di giungere con i sensi alla relazione; con le parole ascoltate, con gli occhi che guardano, con le mani che vorrebbero poter toccare o carezzare.

Si tratta di persona non ricca che non solo ha finanziato il progetto da sola attingendo ai risparmi di una vita senza sprechi, ma ha voluto interessarsi alla realizzazione dell’opera con totale apertura; condividendone i contenuti e accettando le modifiche e le correzioni che sono emerse sebbene, come sponsor, avrebbe potuto imporsi ed avere voce esclusiva. Una persona insomma che si è chinata nell’orgoglio per dare coerenza agli affreschi con il disegno comunicativo che la struttura architettonica porta in sé.

Alcuni nella comunità parrocchiale si chiedono come poter partecipare al finanziamento, considerando la rilevanza della spesa, ma l’occulto donatore vuole che le persone non siano sollecitate a farlo, magari per una ulteriore occasione oltre quelle che periodicamente impegnano i fedeli.

La comunità parrocchiale potrebbe comunque organizzarsi autonomamente sia per alleggerire l’impegno profuso, sia per farlo diventare impresa corale non solo nella fruizione, ma anche fattivamente.

Potrebbe accadere che alcuni o molti si uniscano per questo. Potrebbe anche accadere che la generosità non sollecitata della comunità per questo fine continui a fluire nelle esigenze di manutenzione delle opere parrocchiali, nella carità ai poveri, nel sostegno ai missionari…. Se così fosse, comunque un giorno il nome del donatore potrebbe essere conosciuto, e magari fra un secolo si potrà dire che c’erano nel 2017 persone innamorate di Cristo e della sua Chiesa, quella con la C maiuscola e quella con la c minuscola, quella fatta di mattoni ma prima ancora di uomini e donne, giovani ed anziani, bambini e bambine che si uniscono nel canto di lode e di ringraziamento al Signore.

A questo donatore, certo di interpretare la sensibilità di tutti i parrocchiani, vanno un grazie e preghiere a Dio Trinità, Padre Figlio e Spirito Santo, relazione perfetta; affinché bellezza e bene vivano nella comunità e crescano giorno dopo giorno in essa.

Nessuno di noi potrà indicare il donatore, ma siamo certi che lui sorriderà e forse si commuoverà nel vedere un ragazzo che stupito segue colori e le immagini dell’affresco e, gustando la bellezza di un segno, sogna una bellezza più grande ed una realtà più viva fra di noi.

Verona, 2017

Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)

“Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.” (Sal 126, 1)


 

Vieni e Vedi 

Come nasce e si costruisce la Chiesa…

in un carcere minorile

Le bottiglie di spumante, a scelta secco o dolce, poste sul tavolo alla fine della cena di benvenuto di Don Nicolò Niccolini sono rimaste piene. Tanta era l’attenzione per la semplice storia di un giovane prete di 29 anni, originario di Gabicce Mare, cui l’attrattiva per le bollicine era venuta meno, così anche per i galani (dolce veronese del periodo di carnevale).

Eppure aveva detto poche cose, nella decina di minuti che precedevano l’incontro su come si costruisce la Chiesa, non in un quartiere di Verona, come fu per la parrocchia di San Domenico Savio oltre trenta anni fa, ma in un carcere minorile di Roma.

Le persone avevano sentito poche cose, ma vere.  In fila: la sua vocazione nata in una normale famiglia che non era abituata ad andare in chiesa, il catechismo mal sopportato dal giovane Nicolò, la gioia negli occhi azzurri e felici di un altro giovane prete di paese che lo colpisce nel cuore e diventano il seme di una vocazione, un coro nato da due ragazzi appena cresimati  che, invece di allontanarsi dalla Chiesa come fanno tanti a quell’età, si ritrovano la domenica a cantare a casa di una catechista che li prepara all’incontro e parla di un tale don Giussani e legge alcune pagine difficili, ma intense. E poi, il colloquio con il vescovo di Pesaro dove dichiara la sua volontà di farsi prete; il seminario a Roma, nella Fraternità missionaria di San Carlo. Vice rettore e diacono a soli 25 anni e l’incarico poi da prete di recarsi nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, all’inizio da solo e poi accompagnato dai suoi seminaristi.

Quindi, la testimonianza del come fare comunità in un carcere minorile, con ragazzi che vanno dai 14 ai 25 anni di età. Storie e nazionalità diverse, rumeni, albanesi o delle tante regioni dell’Est Europa; nord africani, rom, italiani, accomunati solo dai reati commessi e dalla mancanza di solide famiglie. Testimoniare non significa gridare sui tetti le verità rivelate, ma farle rivivere in quelli che le accolgono, magari per un attimo, donando tempo e ricevendo parole, sussurrate o urlate, talvolta scritte, che cambiano la vita di tutti.  

Fare comunità in un carcere minorile è dare attenzione ad ogni persona, salutando tutti nessuno escluso, offrire tempo, stare nella relazione, avere a cuore persone che talvolta nella vita non hanno mai sentito nessuno dire loro “ti voglio bene”. Ragazzi a cui è mancata una mamma o un papà, non perché sono mancati i genitori, ma perché sono mancati i “NO!” autorevoli di un padre, lasciando così alla strada l’unica via che sembrava possibile per farcela, anche se si è rivelata il vicolo cieco di una reclusione e di occhi invecchiati dalle troppe cose brutte viste, fatte e vissute.

Nel carcere come nelle famiglie o in parrocchia si tratta di educare, un compito che non spetta a singoli o a supereroi ma a tutti, perché da soli non possiamo fare nulla.

Prete, tu hai un vizio, far felici gli altri” ha detto un ragazzo, Daniel, a Nicolò dopo che per mezzo suo aveva scoperto in una giornata di permesso la bellezza di Roma. Ed educare significa anche questo, come Gesù, saper distinguere l’errore dalla persona, nella verità, portando a riconoscere il male fatto e la responsabilità individuale, ma anche offrendo un orizzonte di felicità, di possibilità, una amicizia che inizia esponendosi alla emozione e alla sconfitta, ma che apre l’altro alla relazione. Dare fiducia, la ricetta per educare, anche se ti hanno spiegato che il 90% delle cose che ti diranno i ragazzi saranno bugie, anche se qualcuno uscendo non ti ha più riconosciuto, anche se riconosci che la libertà dell’altro ti impone di non pensare di cambiarlo, ma di incontrarlo.

Se sei con persone che ti vogliono bene qualunque luogo diventa casa tua” ha detto Cristian, un altro ragazzo fra i tanti entrati in carcere per spaccio, violenze, furti e rapine, omicidi, ma ancora ragazzo, ancora uomo, meritevole di fiducia.

Entos Hymon,  in mezzo a voi, fra di voi, dice il Signore del suo regno nel Vangelo, ed è così quando la sua parola si realizza nella vita di giovani detenuti che chiedono come a Emmaus a Nicolò di fermarsi a cena con loro o, che si aprono alla misericordia del sacramento o, che partecipano alla Messa domenicale, non fosse altro che per ritrovare altri amici o per sentirsi compresi dal Signore della Samaritana, del pubblicano, del lebbroso, del ladrone, di tutti gli uomini qualunque sia la loro storia.

 In mezzo a voi, come con noi in questo incontro e come nella vita della parrocchia quando insieme siamo comunità e luogo educativo, “compagnia tesa a divenire casa abitabile per ogni uomo”.

Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)


 

Vieni e Vedi 

COME SI VIVE LA FEDE 

Come un coro

Come si vive la fede’ era il titolo dell’incontro organizzato in parrocchia venerdì 20 gennaio nell’itinerario ‘Vieni e Vedi’ di incontri con testimoni, in particolare, nella serata, con tre esperienze di cammino collettivo: Equipe Notre Dame, per coppie di sposi, Scout Agesci, per giovani dagli 8 ai 20 anni, da 40 anni nel nostro territorio, Rinnovamento nello Spirito, corrente di grazia carismatica con il gruppo Maria Regina della Pace che si incontra in parrocchia da quasi 30 anni.

Diciamolo subito: il titolo era sbagliato. Quello giusto sarebbe stato: come canta un coro perfetto. Si, un coro con voci di diverse età, di ragazzi e di anziani, di uomini e di donne, che canta senza prove, senza essersi accordato sulle note di accompagnamento ma che quando lo senti ti chiedi da dove venga l’armonia e pensi che ci sia un trucco tecnico, oppure c’è qualcosa di più che non vedi ma che fa stare insieme le persone e fa vivere le emozioni.

Questo è accaduto.  Una decina di capi scout che con una parola parlano di sé e del perché tengono a servire i ragazzi nel renderli autonomi e protagonisti della propria vita. Gratis. Bellissimo ed incredibile. Mai visto in televisione.

Una coppia, Armando e Betty, che parla di sé e della loro Equipe (cinque, sei coppie che camminano nella vita matrimoniale sedendosi a parlare di sé come compito ed insieme ad un altro, Gesù, che fa parte della loro vita), insieme ad altre 60.000 coppie nel mondo: Perché? La risposta è nella domanda che si fecero venti anni fa dopo il matrimonio. Possibile che siamo arrivati, o è solo il punto di partenza? E come e dove andare? Ed invece di novità compulsive la risposta è stata nell’imparare periodicamente a fermarsi, insieme e poi con altri, magari cenando, magari parlando, magari pregando. Anche questi non fanno notizia: sembra che le coppie siano fatte per separarsi, invece questi stanno insieme da 20 anni ed hanno gli occhi che brillano. Incredibile.

E poi l’esperienza del Rinnovamento nello Spirito, nei canti che lodano sia nel momento della festa che in quello della difficoltà, nella invocazione, nell’abbandono della pretesa di poter fare tutto da soli.  La testimonianza di un sacerdote, Don Lorenzo, che parla della sua trasformazione e della passione per la bellezza della Chiesa e per le persone, Salvatore, entusiasta per le possibilità date a tanti di incontrare il Signore facendosi accogliere il martedì sulla porta della cappella parrocchiale, Antonio che con Pierangela  ha scoperto la felicità nel comprendere che il bene che può fare viene da un altro e che ciò che valida l’amore è la possibilità che diamo a chi ci chiede aiuto e non il giudizio. Incredibile, quando non cerchi trovi e quando comprendi che non dipende tutto da te vedi il mondo nel verso giusto. E la sorpresa più grande è la felicità che arriva quando non la cerchi più ed ha il nome di un angelo.

E tutti hanno detto la stessa cosa, che se si cambia lo sguardo si cambia tutto (n teologia si insegna che lo Spirito non cambia le cose ma le fa nuove…che sia questo?).  E che la gioia, che dura nel tempo, è diversa dal divertimento, che dura qualche ora. E che basta camminare, con compagni di viaggio per non arrivare da nessuna parte, ma riuscendo a vedere i fiori lungo la strada, insieme ai sassi che non mancano mai sui sentieri, e se si sono ci sarà un perché. Intanto camminiamo, insieme.

Ut unum sint, che siano una cosa sola, la parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni rivolta a chi crede in lui.

E’ accaduto, una sera, per chi è venuto ed ha visto, Vieni e Vedi il filo conduttore, E’ accaduto e non per la bravura degli organizzatori e non solo per l’intuizione di Don Gaetano.  Persone che cercano si sono ritrovate scoprendo che ognuna aveva trovato in gruppo o da sola un pezzo del mosaico della vita bella e tutti avevano voglia di farlo brillare. Per sé, ma come tutte le cose preziose trovano senso nel farsi apprezzare da chi non le ha ancora incontrate. In fondo basta uscire un venerdì di gennaio o spingere la porta di una cappella di periferia un martedì sera o ancora buttarsi nella avventura di stare con i ragazzi lasciando che siano loro a diventare grandi da soli ma con lo sguardo affettuoso di chi vuole loro bene per cambiare la propria vita, o scrivere sul calendario in cucina che per mezz’ora marito e moglie hanno l’obbligo di sedersi e guardarsi negli occhi o insieme alzando lo sguardo.

Basta farsi incontrare, basta cercare, basta capire come insegna la vita che non si può essere felici da soli.

Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)

Ascolta le tre testimonianze qui:

 

Equipe Notre Dame

 

Scout Agesci

 

Rinnovamento nello Spirito



Scout: 40° Verona 3

2016-12-04-14-54-03Oggi, 4 dicembre 2016, all’istituto don Bosco di Verona, abbiamo festeggiato il 40° anniversario del Gruppo Scout della parrocchia: il Verona 3. Circa cinquecento i partecipanti; dai lupetti ai veterani. Una piacevole giornata di festa che, dopo l’alzabandiera e la S. Messa delle 11.00 ha proseguito con il pranzo, i canti e la gigantesca torta delle dimensioni di 3 tavoli da sagra.                                                          2016-12-04-15-57-35


COLLETTA ALIMENTARE

2016

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Il Gruppo Giovani della parrocchia all’Esselunga di C.so Milano VR

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I ragazzi delle medie, alcuni del Consiglio Pastorale e Gruppo Missionario da Rossetto di via Spaziani VR

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Vieni e Vedi  

Il dono, l’apertura, la gratuità

vieni-e-vedi-teatroVieni e vedi cosa? Si è chiesta e ci ha chiesto Licia Lineri, che con Mario Mazzi, Silvia Brenna e Gimmi Garbuijo, coppie da oltre 30 anni unite da una forte esperienza di fede e di vita, ha portato la sua esperienza nella parrocchia di San Domenico Savio venerdì 25 novembre.

Vieni e vedi cosa?  E la risposta che ci hanno dato è stata: ‘Persone misere, ma amate’.  Persone, coppie come tutte le altre, con la diversità di genere e di carattere, con le difficoltà della vita e della educazione dei figli,  ma anche, come tutti; come ha sottolineato Gimmi, desiderose di felicità, di letizia.

Elementi comuni della loro esperienza, caratterizzata dalla accoglienza di ragazzi e di adulti in difficoltà,  nella loro casa, alla loro tavola, chi per un giorno, chi per anni, è il sentirsi abbracciati , che li rende capaci di abbracciare, amati e quindi capaci di amare, dentro una storia fatta di relazioni che va oltre i loro disegni ed i loro calcoli e che nelle difficoltà talvolta li travolge, ma sempre li interroga come singoli , come coppia, come famiglia nel rapporto con i figli.

Tutto nasce dal caso, direbbe chi non crede in uno sguardo più grande sugli uomini.  Chi invece ha occhi di speranza si sente dentro un disegno di amore nel quale è chiamato a vivere, dare, rispondere, incontrare.  Qualcuno che chiede di ospitare qualcun altro per qualche giorno può essere l’inizio di una storia inattesa che cambia la propria vita e quella della propria famiglia. Occhi che si incrociano e sentono che è più semplice aprire la porta che chiuderla sono l’occasione di un cambiamento.  Richieste inattese, e quindi un rosario di incontri e di esperienze, graffi che diventano abbracci.  Alicia ci ha detto: ‘ Vedevamo gente lieta e volevamo esserlo anche noi’. Non un atto eroico, non un disegno organizzativo, ma apertura a quanto ci è posto davanti nella vita come opportunità di senso e di bene. Silvia: 4 figli, due nipoti, da 10 anni in casa famiglia con 7 ragazzi. Chi lo avrebbe mai pensato?  ‘Lo ha pensato qualcun altro, qualcuno che pensa cose per te, non per un gruppo’. Persone ospitate che chiedendoti se vuoi loro bene ti riportano alle domande che guidano la vita.  Apertura, ma anche amicizia che educa con loimg-20161125-wa0009 sguardo, accompagna. Ed il dono è vivere intensamente, felici di essere come si è e non come si dovrebbe essere, rinunciando alla pretesa di cogliere i frutti, vincendo lo sconforto con il semplice ricordo di un abbraccio o di un fiore riconosciuto per la sua bellezza da chi di bello non aveva mai visto e vissuto nulla. Conversione continua delle attese e delle relazioni, sacramenti come occasione per ripartire dalla relazione di amore gratuito che rende possibile osare umanamente la gratuità. Vieni e vedi, coppie felici, persone sposate da 32 e 36 anni che sorridono alla vita ed invece che barricarsi in casa per paura dei ladri aprono le porte e ricevono dono inattesi.

In fondo, ci dicono che   chiudendo a chiave la porta di casa e degli affetti non ci resterebbe che la paura, rischiando invece l’accoglienza, mai da soli, riconoscendo l’un l’altro ed assieme quanto abbiamo ricevuto e donandolo, c’è la possibilità, come loro testimoniano, di moltiplicare il bene e restituire in gesti e sguardi, in ascolto e condivisione quello che ci è stato dato gratuitamente e che le persone accolte, anche di cultura e colore diverso, anche bambini nel non senso dell’abbandono   sanno farci comprendere. Allora la semplicità di un piatto in più in tavola si fa evento ed un grazie ci cambia la vita, un silenzio ci interroga nella profondità del nostro animo.

Giuseppe Aleo, che ha introdotto l’incontro per il Gruppo Famiglie Don Bosco, aveva interrogato invitati e pubblico a riflettere sulla cultura del dono e sulla difficoltà in questi tempi di riconoscere gratuità ed apertura all’altro.   Le coppie che hanno portato la loro esperienza ci hanno fatto vedere uno spicchio di mondo ed un modo di essere nella vita e nella coppia che incoraggia alla speranza ed al sorriso. Ci hanno detto che troppi si lamentano di tutto, non sanno vedere il bene ed il bello che ci circonda e che possiamo far percepire. In fondo il cammino  di questi amici ha preso avvio dalla domanda di felicità. E’ la domanda di tutti, e la ricetta ha ingredienti comuni a tutti i percorsi efficaci: apertura, porsi di fronte alla realtà senza pensare che dovrebbe essere diversa per essere vissuta,  carità, cioè azione non finalizzata ad una ricompensa, perché questa è già stata ampliamente offerta e si chiama vita.

Fabio Cortesi
(Vice presidente Consiglio Pastorale Parrocchiale)


VIENI E VEDI

Mese missionario

Puzzle composto dai bambini della nostra parrocchia in occasione del mese missionario.


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INIZIO ANNO LITURGICO

25 settembre 2016

Tema dell’anno:

VIENI E VEDI


 Festa di Cristo Re: creati due nuovi Ministri dell’Eucarestia

Oggi 20/11/2016 festa di Cristo Re, nella liturgia delle 11,00 abbiamo avuto l’onore e il piacere di vedere due nostri amici, Dante Mai e Bing Lei, della nostra comunità parrocchiale diventare Ministri dell’Eucarestia.


 

Giornata di inizio Anno Liturgico 2016

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Pubblichiamo con vero piacere le foto della giornata passata insieme a Madonna di Lourdes.

 


GREST 2016

Ecco le foto  e il video dei ragazzi del Grest 2016


24 Maggio 2017

Festa di Maria ausiliatrice

MARIA AIUTO DEI CRISTIANI

La bellissima e intensa processione per le vie del quartiere, con la recita del rosario.

Conclusione della festa in chiesa, con la benefattrice delle rose alla Madonna.


DOMENICA 7 MAGGIO 2017

FESTA DI S. DOMENICO SAVIO

S. Domenico Savio

Alla parrocchia San Domenico Savio, un càlorosô salutô dalla foresta africana. In occasionne dei trenta anni d’Ella Chîesa un grazie la S’ignore per il bene compiuto e a tutti i parocchiani che hanno contribuito concretamente per la nostra bella chiesa. Ho un bel ricordo degli Otto anni vissuti con voi. Vî assicuro la mia preghiera e che San Domenico Savio ci protegga. Grazie e buona festa.

Don Giorgio Gallina

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 Incontro giovani “LA VITA E’ CHIAMATA!”

giovani

Sabato 9 Aprile alle ore 16,45

si terrà nel teatro parrocchia S. Domenico Savio, per tutti gli studenti universitari e giovani lavoratori, un incontro sulla vocazione:

“LA VITA E’ CHIAMATA!

Relatore don Michael Konrad Missionario della Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo, professore di Etica e Teologia Politica all’Università Pontificia Lateranense di Roma.

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Serate di incontri: “I SANTI DELLA MISERICORDIA”

Volantino 08 04 2016

Scarica il volantino qui:I Santi della Misericordia


 

Festa di S. Giovanni Bosco

31 gen. 2016


PENSIERI NATALIZI

Natale 2015

Ascolto

più risposte che domande,

gusti, peraltro variabili,

Invece di identità e narrazioni,

assenze,

Invece di presenze,

piani orizzontali

Invece che profondità ed altezze.

Sento il vuoto che si scherma su sicurezze improbabili :

simboli del sacro a buon mercato, per chi non ha tempo da perdere in riti di relazione,

certezze che scadono a tempo, pretese da chi ci ha interrogato e ci interroga.

Paura di perdere ciò che si è già perso inconsapevolmente.

Natale senza odori

invece degli aliti di una stalla.

Fasce linde

sconosciute a chi accetta la vita

e la sogna, si sporca le mani senza pannolini usa e getta.

Natale virtuale

Invece di una stanza affollata,

Attori invece che pastori.

Personaggi da presepio

invece che persone in movimento.

Statuine

invece che noi.

Un bambino su una spiaggia, disteso con il volto in basso,

e un altro che nelle fasce della cura,

rimanda a quelle che lascerà nella tomba vuota.

Odori e silenzi.

Momenti consapevoli

gesti da ricordare

relazioni che non finiscono

storie che si riallacciano

nel ripetersi di una nascita

rito per non dimenticare, per non dimenticarci

la nostra umanità

e la divinità che ci è donata.

Salvezza dalla banalità.

NATALEE fui allevato in fasce e circondato di cure (Sap 7,4)

Troverete un bambino avvolto in fasce (Lc 2,12)

Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia (Lc 2,7)

Lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba (Lc 23,53)

Chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò (Gv 20, 5-7)

 

Fabio Cortesi


 PENSIERI NATALIZI

Natale 2015

…spamming

I te manda  balete de tuti i colori, rosse verdi, gialle e anca  panna

Cani che tira slite e  la neve

Che no ghè più adesso  gnanca a Sant’Anna,

E dopo i  dise fa festa anca a casa, anca a ci l’è da solo e no el  beve.

Te riva alberi de tuti i colori,

babbi Natale su par i poggioli

luci tacade su alberi e fiori

arabeschi e gossete come ghiaccioli.

Par no dir gnente e par scaramanxia

I dise Nadal te vendo magia!

Tuti te augura nadal e le feste

No costa gnente  girar un filmeto

Che t’è ciapado invesse de seste

De na botiglia o de un regipeto.

I ga watsap e te riva de tuto

I manda mail a tuto spiano

Meio saria che i pagasse un prosciutto

O mandorlato o vino  toscano.

L’è tuto un drin drin cassade che riva

Par no dir gnente che gabia rason

No te sé gnanca ci sia ci te scriva

Sa l’è un amico o un poco de bon.

E alora smorsemo i telefonini

Stachemo la spina a tuto quanto

Televisioni,  iphone e agegini

Vardemose in facia, scrivemo de manco!

E invesse de tante monade e figure

Ciamame e dime che te ghe si

Dime che insieme vinsemo paure

Sentate rente a i altri e a mi.

Dime che no me desmentega mia

Che nasse butin l’onnipotente

Dime che no le mia na fantasia

Che le persone le ama altra gente.

Fabio Cortesi


 

GREST 2015

FOTO e VIDEO

Ecco le foto  e il video dei ragazzi del Grest 2015,

Il video è stato realizzato da TelePace.

 Grest 2015

 

Foto del pellegrinaggio a Torino

del 09 Maggio 2015

con visita alla S. Sindone e alla Basilica di Maria Ausiliatrice

a Valdocco.

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