Scarica il volantino: Grest 2016_Edelon
Scarica il volantino qui:I Santi della Misericordia
Inserita Pagina Lettori come sottogruppo della Pagina GRUPPI.
L’icona che ci accompagnerà durante questo anno liturgico e pastorale riproduce il mosaico del Cristo risorto che riprende Adamo ed Eva come Buon Pastore del Centro Aletti (2006, Chiesa delle Suore Orsoline Figlie di Maria Immacolata, Verona) da cui è ripreso il logo del Giubileo Straordinario della Misericordia. Gesù, il Crocifisso-Risorto è il Buon Pastore che scende nel regno dello Sheol per aprire l’ultima tomba dell’uomo, affinché nessuno vada perduto. In Adamo, caricato sulle sue spalle, sta l’umanità intera, e quindi ciascuno di noi. Il Risorto torna al Padre portando con sé i prigionieri del peccato (cfr Ef 2,4-6). La tenerezza e la misericordia di Dio è riflessa nei volti ravvicinati di Cristo e di Adamo e nell’atto di Gesù che afferra Eva per il polso, perché in Lui viva per sempre. È certamente un’icona che risplenderà in tutto il suo significato nei tempi di Quaresima e di Pasqua ma non sarà difficile contemplare proprio nei volti ravvicinati di Cristo e di Adamo la bellezza e la profondità del mistero di Dio che in Cristo viene a concederci la sua misericordia e a fare alleanza con noi, manifestandoci la nostra vera identità di figli.
Il logo e il motto offrono insieme una sintesi felice dell’Anno giubilare. Nel motto Misericordiosi come il Padre (tratto dal Vangelo di Luca, 6,36) si propone di vivere la misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura (cfr. Lc 6,37-38).
Il logo – opera del gesuita Padre Marko I. Rupnik – si presenta come una piccola summa teologica del tema della misericordia. Mostra, infatti, il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito, recuperando un’immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo, e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Un particolare, inoltre, non può sfuggire: il Buon Pastore con estrema misericordia carica su di sé l’umanità, ma i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo. Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo. Ogni uomo scopre così in Cristo, nuovo Adamo, la propria umanità e il futuro che lo attende, contemplando nel Suo sguardo l’amore del Padre.
La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo. I tre ovali concentrici, di colore progressivamente più chiaro verso l’esterno, suggeriscono il movimento di Cristo che porta l’uomo fuori dalla notte del peccato e della morte. D’altra parte, la profondità del colore più scuro suggerisce anche l’imperscrutabilità dell’amore del Padre che tutto perdona.
Un anno bisestile è un anno formato da 366 giorni, uno in più dei “normali” 365: il 2016 è un anno bisestile, e quindi oggi è il 29 febbraio e non il primo marzo come qualcuno avrà pensato. Ci sono diverse cose sugli anni bisestili che non sono troppo conosciute: per esempio che non cadono solo ogni quattro anni, perché sono bisestili anche gli anni precedenti a quello che segna l’inizio di un nuovo secolo – quindi 1800, 1900 e 2000 – che si possono dividere per 400. L’anno bisestile fu inventato da Giulio Cesare e poi “riaggiustato” da papa Gregorio XIII. Abbiamo messo insieme un po’ di curiosità e di cose da sapere: per esempio, perché esiste l’anno bisestile?, quando fu inventato?, perché si chiama così?
Non esattamente ogni quattro anni, in realtà. Gli anni precedenti a quello che segna l’inizio di un nuovo secolo – quindi 1800, 1900, 2000 – sono bisestili soltanto se si possono dividere per 400. Quindi il 2000 è stato un anno bisestile, il 2100 non lo sarà. La formula per sapere se un anno è bisestile è: solo se le ultime due cifre sono divisibili per quattro, oppure se l’intero anno è divisibile per 400.
Un anno solare, cioè il tempo che la Terra impiega a fare un giro completo intorno al Sole, non è perfettamente divisibile in periodi di 24 ore, cioè in giorni: dura circa 365 giorni e 6 ore. Se tutti gli anni avessero 365 giorni, ogni quattro anni il calendario si ritroverebbe in anticipo di un giorno. Grazie all’anno bisestile, il calendario si “rimette in regola” aggiungendo un giorno proprio quanto l’anticipo accumulato raggiunge le 24 ore (sei ore all’anno, per quattro anni).
Un altro problema è dovuto al fatto che in realtà l’anno astronomico non dura esattamente 365 giorni e 6 ore, ma qualche minuto in meno, per la precisione 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Quindi, anche utilizzando gli anni bisestili, dopo 400 anni il calendario si troverebbe sballato, in ritardo di circa tre giorni. Per risolvere il problema, gli anni precedenti a quello di inizio secolo, cioè quelli divisibili per cento, non sono considerati bisestili a meno che non siano divisibili anche per 400. In questo modo, ogni 400 anni ci sono 3 anni bisestili in meno, eliminando così i tre giorni di anticipo.
Quasi tutti i calendari elaborati nel corso della storia incorporavano qualche sistema per correggere il fatto che l’anno solare non si possa dividere esattamente in giorni. L’osservazione del sole e delle stelle è stata una delle prime scienze a essere sviluppate in quasi tutte le civiltà e già molti secoli prima di Cristo gli astronomi conoscevano bene i tempi della rivoluzione della Terra intorno al Sole. Nel caso del nostro calendario, l’origine dell’anno bisestile risale a Giulio Cesare che nel 46 Avanti Cristo impose un po’ d’ordine alla caotica situazione del calendario romano.
Fino al suo arrivo, l’anno romano durava 355 giorni. Per compensare la differenza con l’anno solare, ogni tanto veniva aggiunto al calendario un intero “mese intercalare” di durata variabile, di solito una ventina di giorni tra febbraio e marzo. In teoria la regola prevedeva che a un anno da 355 giorni dovesse fare seguito uno da 377 giorni, a cui seguiva di nuovo uno da 355 e poi uno da 378, per poi ricominciare il ciclo. Alternandosi in questo modo, il calendario romano riusciva a essere più o meno in linea con quello solare.
In pratica però, le cose funzionavano malissimo. L’autorità che governava i calendari, il Pontefice Massimo, era una figura politica e molto spesso accadeva che il mese intercalare venisse accorciato o allungato, inserito o “dimenticato”, in base all’interesse dei Pontefici o dei suoi alleati. Se ad esempio il Pontefice Massimo aveva convenienza a ritardare un’elezione prevista per marzo, poteva inserire dopo febbraio un mese intercalare insolitamente lungo. La situazione era estremamente caotica e Cesare cercò di risolverla. Con l’aiuto di matematici ed esperti, alcuni dei quali conosciuti durante la sua campagna in Egitto, progettò un calendario diviso in anni di 365 giorni, e di 366 ogni quattro anni.
I romani non contavano i giorni del mese come noi (2 febbraio, 7 marzo, 12 giugno, per esempio), ma usavano un complicato sistema in cui ogni mese veniva diviso in calende, idi e none. Nel calendario giuliano si stabiliva che negli anni da 366 giorni, il “giorno” in più dovesse essere inserito a febbraio il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Legalmente, il 24 febbraio veniva considerato un “giorno doppio”, formato da 48 ore. In questi anni, quindi, c’erano due “sesti giorni prima delle calende di marzo”, da cui “bisextus” (due volte il sesto) e quindi, bisestile. Il primo “29 febbraio”, cioè il giorno in più secondo i moderni calendari, probabilmente comparve nel medioevo, quando i giorni dei mesi cominciarono ad essere contanti in modo sequenziale e non più alla maniera romana.
La riforma di Cesare aveva trascurato che un anno solare non dura esattamente 365 giorni e sei ore. Il calendario giuliano, quindi, si trovava in ritardo di tre giorni ogni 400 anni. Tra guerre civili, caduta dell’Impero romano, invasioni barbariche ed epidemie di peste, nessuno fece caso a questo errore per circa un millennio e mezzo. Solo nel 1582 il Papa di allora, Gregorio XIII, si accorse che quell’anno la primavera era cominciata l’11 marzo, dieci giorni in anticipo rispetto alla data dell’equinozio.
Gregorio decise di risolvere la questione una volta per tutte e impose una drastica riforma: dopo venerdì 4 ottobre 1582 il calendario sarebbe saltato direttamente a sabato 15: i dieci giorni di mezzo, in un certo senso, non sono mai esistiti. Questo però non risolveva il problema della durata media dell’anno. Per evitare di perdere altri dieci giorni nel migliaio di anni successivo venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili soltanto se fossero stati multipli anche di 400.
L’accettazione del calendario Gregoriano da parte dell’Europa di allora, in un mondo diviso da guerre intestine, fu a macchia di leopardo. Non tutti, e non subito, vollero ascoltare una riforma considerata “papalina”, e per secoli, le date divennero “diverse” da paese a paese.
Ovviamente, in un mondo diverso dal nostro – con meno connessioni “urgenti”- la differenza di dieci giorni fra un luogo e l’altro non era sentita come particolarmente importante, e ci vollero dei secoli perchè i paesi ortodossi, anglicani e protestanti si “convertissero” a questo nuovo modo di calcolare il tempo. L’ultima fu l’Unione Sovietica, che si decise solo dopo la Rivoluzione d’Ottobre – che secondo il nostro modo di contare, si svolse a novembre.
Particolare fu il caso della battaglia di Austerlitz, alla quale le truppe russe arrivarono in ritardo – secondo gli austriaci – e puntuali -secondo i russi -, permettendo a Napoleone di affrontare i suoi nemici quasi uno alla volta.
Il Post