Marco non scrive del Natale.
E se leggiamo Luca, scopriamo nei dettagli le tracce della resurrezione.
Il Natale di Giovanni è la creazione del mondo.
E per Matteo è una regalità che si manifesta preannunciata da secoli.
E nel Vangelo imperfetto che posso scrivere per il tempo che mi è stato dato, è stato Natale, annunciato dalla apertura di cuore di un servo inutile, quella volta che una vedova avrebbe dormito e quella volta che una famiglia avrebbe salvato la sua armonia e quella volta che davanti alla bellezza dopo la fatica ho riconosciuto un altro e quando ho salvato una vita, con una parola o con la pazienza che mi manca , inconsapevolmente, solo perché spettava a me trovarmi in quel tempo e in quel luogo.
Il seminatore non può avere coscienza dei semi che fruttificheranno e delle centinaia che si perderanno. O ancora, quelle volte nelle quali ho detto quanto sentivo giusto dire, inopportuno, magari con la dolcezza che spesso mi manca, senza attendermi successi e sapendo che nelle ragioni degli uomini avrei fatto solo brutta figura.
Quante cose non sarebbero accadute se un Dio fattosi bambino, uomo, non avesse spezzato la catena del dare per ricevere e della attesa di un contraccambio. Quanto saremmo diversi e peggiori del peggio che siamo rispetto a quello che potremmo essere, e ci dicono che non è possibile, che è buonismo, che sono tutte frottole, ma il Vangelo che continua ad essere scritto da uomini e donne in tutto il mondo dice che Natale c’è ancora.
Natale non si compra, tanti lo vendono senza averlo mai posseduto, ladri di senso.
Natale si dice troppo, andrebbe taciuto tanto incommensurabile è la grandezza dell’infinito che si rende finito.
Natale si narra e riconosce nei gesti e nella Annunciazione che ci è stata offerta da altri che ci hanno preceduto.
A volte una lacrima che l’età rende più facile al sentire qualcosa di vero, di bello e di buono che in greco si dice in un solo termine, diventa lezione di teologia. A volte una lacrima, che si ferma negli occhi perché gli uomini fanno fatica a piangere, mi fa sentire che è Natale. A volte ci si ferma e si aprono gli occhi. A volte è Natale, e non è dicembre.
Buon Natale sia riconoscere il tempo e gli incontri, in un giorno o in un istante, magari ora. Buon Natale sia riconoscerci evangelisti, narratori di una relazione vivente, con il brivido di saperlo e come accade con gli amici, di vedersi poco o niente, ma di riprendere da dove si era interrotto anche dopo anni di lontananza.
Sia Buon Natale, siano occhi che vedono nella notte e mani che scrivono ancora una buona notizia.
Fabio Cortesi
In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto
queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli,
non l’avete fatto a me (Mt 25,45)
Il sogno di Chiara, il sogno di Anuarite, il sogno di maman Anie, di maman Pascalina…
Chiara Castellani è una donna alla quale fai fatica a dare una età. Per l’energia che ti fa respirare, il suo ottimismo mentre ti parla di bambini soldato o di bambini minatore, o di donne violentate o di spari sui giovani che manifestano o di malati di Aids senza cure o di morti per morbillo o ancora per morti per Ebola, ti sembra una ragazza. Per come snocciola esperienza e coraggio, per la silhouette secca e grintosa, per i capelli poco curati, come il vestito, un marsupio rigonfio sullo stomaco, senti la saggezza di una donna che ne ha viste tante e che ha tanto da raccontare, quindi una anziana, come quelli che hanno tanto da dirti.
In ogni caso Chiara, che ha incontrato i veronesi martedì 3 dicembre, è un medico, specializzato in ostetricia, nata a Parma, che dopo aver passato un decennio in America Latina vive nella Repubblica democratica del Congo dal 1990, democratica per modo di dire per come le elezioni vengono truccate e per il livello di corruzione dilagante. Eppure Chiara ha un sogno, che viene da lontano, da suo padre e da sua madre. E questo sogno è stato condiviso con Rita Levi Montalcini, così come con uomini e donne che chiama per nome nel racconto di storie di vita terribili ed accomunate dalla voglia di farcela, dall’anelito verso la libertà e verso il diritto, in primis alla salute. Il sogno si declina in azioni ed in risultati umani e sociali, vittorie e sconfitte, mai resa. E ti chiedi come possa una donna così apparentemente fragile trovare energia per trascinare al riscatto giovani e anziani, per smuovere politici, per andare dove altri non avrebbero il coraggio di andare preferendo fingere di non conoscere da dove vengono le risorse che muovono le nostre società tecnologiche e quanti bambini possono morire per materie prime preziose, uranio, cobalto, coltan.
Le foto scorrono sullo schermo: Chiara in carcere che visita corpi scheletrici, perché il governo non garantisce nemmeno il cibo, il volto di un bambino cresciuto in una orrenda prigione, di sua madre che ha avuto in carcere un altro figlio ma non conosce il padre, che potrebbe essere uno dei carcerieri. Chiara che mostra una moto che pilota nonostante possa usare solo il braccio sinistro, il destro le è stato amputato più di 20 anni fa per un incidente stradale. E ci sono foto che danno speranza: i volti di donne e uomini che frequentano una scuola per infermieri ed una università nella savana con sette facoltà e 900 iscritti. C’è voglia di studiare nei giovani e voglia di guarire nei malati, nelle madri che vogliono preservare i figli dal flagello dell’Aids. Ci sono le adozioni a distanza, in primis per chi studia e per le infermiere, che perdono il lavoro perché pur operando sul campo da oltre 30 anni non hanno un titolo di studio valido.
Ci sono le manifestazioni per la verità nel responso elettorale, nonviolente, che vedono le chiese cattolica e protestante unite nel chiedere giustizia, Ville mort, una metropoli africana che diventa deserta perché la protesta consiste nello stare in casa.
Disabile, ma ci dice che l’handicap fisico è un trampolino per andare oltre, italiana, europea, ma dentro fino in fondo al sogno di tanti nella diocesi di Kenge, che è anche il suo: politico, come il rispetto di una costituzione votata da oltre il 90% dei cittadini; medico, come fare in modo che i vaccini giungano ovunque nonostante la guerra civile; religioso, perché testimonia senza dirlo ‘l’avete fatto a me’.
Per seguirla e per unirsi al suo sogno: www.insiemeachiaracastellani.org
Fabio Cortesi
Vice Presidente del Consiglio Pastorale
Daniela Brunelli e Gelmino Tosi (in centro nella foto), marito e moglie, tre figli, anni di esperienze in Africa, iniziate in un ospedale in Tanzania trent’anni fa e ritornati un anno fa in Sud Sudan. Hanno parlato della loro vita vissuta per quasi un anno in Sud Sudan come volontari CUAMM, medici e non solo che danno tempo ed energia per stare assieme ad altri e ad altre. Se chiediamo ad un anziano dove si trova il Sudan difficilmente avremo una risposta: ‘In Africa’ Sud Sudan? Sotto il Sudan ma chissà..’ Se lo chiediamo ad un ragazzo avremo una scena muta: non c’è posto sul web per un giovane paese africano che ha fame di pace prima ancora che di cibo e di strutture. Eppure è uno stato indipendente, recente, a prevalenza cristiana, ma diviso ed in guerra fra Etnie.
Lo stato ha parcellizzato il territorio in 24 regioni sempre più piccole e la sanità pubblica è di fatto appaltata alle organizzazioni internazionali che creano le strutture assistenziali ed assumono il personale.
7 ore su 7, 24 ore su 24, persone, italiani, tanti italiani come Daniela e Gelmino, sono con altre persone per curare, assistere, educare, come a Lui, una città sul confine e sulla linea del fronte fra Nuer e Dinka, perché nella povertà quello che non mancano mai sono la violenza e le armi. Capitale: Juba. Corso del Nilo bianco. Pozzi di petrolio.
Sul fronte della sofferenza e del bisogno evidente due veronesi, chiusi in casa per il timore degli attacchi, mentre decine di donne con i bambini raccoglievano rapidamente in fagotti quanto necessario per vivere e per fuggire.
Un ospedale a Lui ed una scuola per ostetriche, perché in Sud Sudan nascono i bambini, nella guerra, ed un progetto per far uscire i bambini di casa e dalla paura.
Una marcia contro l’HIV (vedi foto), far valere i propri capelli bianchi per far sentire le ragioni della giustizia, curare, è una storia piccola e lontana che arricchisce, che non vediamo in televisione, ma che conosciamo una sera di ottobre in un incontro in parrocchia, mentre nelle case si sceglie fra un reality ed un varietà che non arricchisce nessuno.
Medicine portate con la scorta di un autoblindo, stipendi scortati con trasporti a sorpresa, pianificazione trimestrale dei bisogni sanitari perché anche avere quanto necessario può essere impedito dalla guerra.
Ed un Papa, Francesco, che bacia i piedi al presidente di una etnia, ed al vicepresidente, suo rivale, per parlare con i gesti e chiedere pace incoraggiando quanti danno ed hanno dato tempo per una zona in ombra sulla terra, per bambini ed adulti che non fanno notizia.
Daniela e Gelmino, due come noi ma una donna ed un uomo con occhi più grandi dei nostri e voci che giungono alle nostre orecchie con entusiasmo per il senso trovato lontano da Verona. C’era una cappella a Lui, senza un prete, un vescovo fuggito per le minacce. C’era e c’è il Signore, nella guerra e nella povertà, ma anche nel sorriso delle giovani che caricano l’acqua o nel gioco dei ragazzi che calciano un pallone giunto dall’Europa e sorridono nonostante tutto.
E ci sono persone che ballano in tondo per ore all’annuncio di una tregua, e ci sono i nostri volti europei che un po’ considerano quanto ascoltato come echi di una storia che ci riporta a Daniele Comboni, un po’ si sentono provocati nella nostra piccola visione della realtà, un po’ si sentono felici per le belle persone che partono e testimoniano di scuola per i ragazzi, di matematica insegnata con i bastoncini, di cure per le donne, di una fede che vive fra i poveri con una teologia pratica fatta di gesti e di coraggio. E viene voglia di provare ad uscire dal cerchio dei pregiudizi e delle certezze per provare a stare assieme ai bisogni del mondo per cercare di avere, almeno per provarci, gli occhi luminosi di chi ha visto sofferenza ma ha toccato anche la gioia semplice di chi spera.
Fabio Cortesi
Vice presidente del Consiglio pastorale
CON LA S. MESSA DELLE 18,30 DI OGGI TERMINA IL SERVIZIO DI DON GAETANO NELLA NOSTRA PARROCCHIA.
La parrocchia ringrazia don Gaetano per il suo servizio e chiede al Signore di colmarlo di ogni benedizione.
Un distacco: sempre un momento di intensa verifica.
Dopo 6 anni don Gaetano ha lasciato la parrocchia di S Domenico Savio a Verona. Dopo tanto tempo come responsabile del movimento, dopo tanti spostamenti e viaggi dove il Signore lo chiamava, fosse in Croazia, in Romania, in Palestina o tra i ragazzi del Veneto o della scuola, era arrivata la parrocchia.
Quello che ha colpito sabato alla messa di saluto oltre alla partecipazione di tantissime persone e al loro calore e gratitudine che sì è intrecciata con le parole commosse di gratitudine di don Gaetano, è stato un giudizio chiaro espresso dal vicepresidente del consiglio parrocchiale Fabio Cortesi.
E’ stato bello vedere ancora una volta che il carisma del movimento, vissuto, non chiude, non impone nulla, ma valorizza la strada di tutti. Come dicevano anche i ragazzi, suoi allievi al tempo del liceo, perfino i più ostili
“con don Gaetano puoi non essere d’accordo , ma non puoi non prendere in considerazione quello che dice”.
Il testo letto in chiesa dice..
“Quando sei anni fa dopo oltre 40 anni i Salesiani decisero di lasciare la parrocchia, la nostra comunità, che avevano costituito e che ancora esprime la formazione originaria, eravamo molto preoccupati, tristi. Un senso di abbandono ci pervadeva. E assieme a questo era in noi la preoccupazione per quanto poteva accadere. Qualcuno si era allontanato, altri temevano che Don Gaetano, con Don Andrea, Comunione e liberazione, potessero uniformare la parrocchia azzerando la sua storia.
Così invece non è stato e possiamo oggi affermare che Don Gaetano Tortella è ed è stato prete diocesano, ma salesiano nei fatti. La teologia che ci ha consegnato e che come Don Bosco vuole coniugare fede e vita, umanità e divinità di Cristo nostro Signore, è stata connotata da alcuni termini che vorrei brevemente riconsegnare.
Realtà: la realtà esiste e non va costruita. Progettata, organizzata, perché ci precede, ha il nome di creato, ha il nome di relazioni che ci hanno costituito e ci costituiscono. La natura ci insegna, come scrive Romano Guardini. Realtà che ci chiama per essere accolta o rifiutata, consegnandoci al nichilismo. Accogliendola abbracciamo la gioia, la felicità possibile, ed
anche il dolore, il non senso, il rispetto per la libertà. La Realtà è stata i mille momenti di questi anni, la realtà sono i volti di quanti oggi ti abbracciano, la realtà è la fatica del tuo distacco ed il calore che vogliamo darti. La tua realtà siamo stati, siamo e saremo noi.
Istante: ci hai insegnato che il Signore è vivo, davvero, e non va pensato in un futuro indefinito, che il tempo della salvezza, del centuplo, è ora. E’ l’istante che ci decide e ci consegna il senso, come scrive Don Giussani, che hai conosciuto personalmente. L’istante, don Gaetano è ora, l’istante è questo.
Compagnia: ci hai insegnato che da soli non si va lontano e si possono incontrare illusioni e fantasie. La compagnia è il luogo della fede, della esperienza e della testimonianza, il luogo dove due o più sono uniti nel Suo nome e nel quale Lui è presente. La compagnia, Gaetano è davanti ai
tuoi occhi.
Nel vangelo di oggi, un vangelo non semplice, il Signore ci presenta la figura
dell’amministratore disonesto e giunge a chiederci di farci amici con la disonesta ricchezza. Ma chi è il servo disonesto? E’ chi vende cose non proprie. Tu Gaetano ci hai dato cose tue, i tuoi soldi, il tuo tempo, il tuo entusiasmo che abbiamo letto nei superlativi della tua catechesi, questi affreschi, la bellezza che ci hai dato e che ci hai lasciato.
Ma sei stato anche amministratore “disonesto”: ci hai dato quello che non era tuo ma che attraverso di te ci è giunto: l’amore di Cristo, nella nostra compagnia, nell’istante, nella realtà.
Grazie Don Gaetano, grazie. Sei e sei stato un dono di Dio Trinità, relazione perfetta, per tutti noi.
Il Signore continui a benedirti e tramite tuo a benedire la comunità di San Domenico Savio in Verona.
Grazie.”
Fabio Cortesi
Vice Presidente del Consiglio Pastorale